Author Archives: Tommaso Poggibonsi

Giovani e lavoro: come ridurre il mismatch tra domanda e offerta?

Rispetto a una media europea del 41% l’Italia ha un tasso di occupazione degli under 40 del 32%, per una contrazione di occupati in questa fascia d’età che dal 2011 a oggi ha toccato i due milioni. Un trend che la pandemia ha contribuito ad acuire, sebbene nel secondo trimestre 2021 siano stati 233.500 i posti vacanti nell’industria e nei servizi, con un costo annuo generato dal mancato incontro tra domanda e offerta di lavoro stimato dal Censis in 21 miliardi di euro, l’1,2% del Pil. Ma come ridurre il mismatch tra domanda e offerta di lavoro? Alla questione cerca di rispondere un focus realizzato dalla Fondazione studi consulenti del lavoro dal titolo L’emergenzialità della questione giovanile. 

Serve un sistema nazionale di certificazione delle competenze

Il focus mette a sistema la scarsa offerta di formazione tecnica (sono solo 116 gli Its sul territorio nazionale), con le criticità lamentate dalle aziende in fase di reclutamento, e le basse retribuzioni in ingresso dei giovani. Secondo i consulenti del lavoro sarebbe quindi opportuno stabilire un rinnovato sistema di formazione dei lavoratori, e in parallelo, procedere alla definizione di un sistema nazionale di certificazione delle competenze, che garantisca ai singoli la possibilità di mettere in trasparenza, anche attraverso la blockchain, le esperienze di apprendimento ottenute.

Più strumenti di raccordo tra formazione e lavoro

E ancora, investire in formazione tecnica, a livello secondario e terziario, per avvicinare l’offerta di lavoro, soprattutto per i ‘pandemials’, i giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni, alle nuove esigenze delle aziende. Stage, tirocinio e apprendistato possono quindi rappresentare, secondo i dati contenuti nel focus, strumenti di raccordo tra momento formativo e mondo del lavoro, anche in una visione prospettica di rilancio e consolidamento di vantaggi competitivi e duraturi per il Paese.

Promuovere le competenze Stem

È urgente pertanto, riporta Adnkronos. investire nella promozione delle competenze Stem e nell’istruzione professionale per creare profili facilmente assorbibili dal mercato. Colmare il divario che tiene distante chi cerca e chi offre lavoro è infatti necessario, sia per rendere più competitive le aziende italiane sia per invertire quella tendenza che vede crescere i Neet (acronimo inglese di Neither in Employment or in Education or Training, ovvero coloro che non sono impegnati nello studio, né nel lavoro né nella formazione), e il ricorso ai sussidi pubblici.

Le aziende italiane non sono ancora pronte per la trasformazione digitale

Si parla spesso di Industria 4.0, di digitalizzazione e innovazione della PA e delle aziende, ma di fatto la maggior parte delle Piccole e medie imprese italiane non è pronta alla trasformazione digitale. A partire dalla gestione dei documenti, che in alcuni casi viene gestita addirittura ancora manualmente, con la documentazione in formato cartaceo. Di fatto, secondo uno studio effettuato da Digital Innovation, azienda italiana che opera da anni nel settore dell’Office Automation, dell’Information Technology e Digital Solution, risulta che il 65% delle aziende intervistate archivia i documenti in semplici cartelle sul proprio computer, non tenendo conto della sicurezza e della protezione dei dati. Ma questo modo di organizzare i file, con le cartelle che riempiono il computer, influenza in qualche modo la produttività, e aumenta il tempo che si impiega a portare a termine i progetti.

Le Pmi non sono interessate a cambiare il loro modo di lavorare

Al contrario, il processo di archiviazione digitale potrebbe guidare le aziende verso la trasformazione digitale, e al contempo offre alle imprese diversi vantaggi. Circa il 30% delle Piccole e medie imprese intervistate da Digital Innovation ha affermato, inoltre, che al momento non sono interessate a cambiare il loro modo di lavorare, e che un aggiornamento in termini di archiviazione documentale non gli interessa. Il restante 5% invece ha risposto che archivia i documenti ancora in maniera cartacea, poiché in ufficio dispone di spazi molto grandi e di personale per poter gestire l’archivio.

L’archiviazione di documenti in formato cartaceo è sempre più dispendiosa

Eppure l’archiviazione di documenti in formato cartaceo diventa sempre più dispendiosa in termini di produttività, a causa della difficoltà di ricerca e condivisione delle informazioni raccolte nei documenti stessi. Il processo di archiviazione digitale, al contrario, può guidare le aziende verso la trasformazione digitale e offre diversi vantaggi. Innanzitutto in termini di rapidità, perché semplifica e automatizza i flussi di lavoro documentali. Un altro vantaggio è rappresentato da una più semplice condivisione dei documenti stessi, perché l’archiviazione digitale permette di accedere ai dati ovunque e in qualunque formato.

Rapidità, condivisione, risparmio e sicurezza: i vantaggi dell’archivio digitale
Oltre a rapidità e condivisione, secondo Digital Innovation l’archiviazione digitale dei documenti permette alle aziende di risparmiare denaro, perché riduce i costi di stampa e quelli di archiviazione dei documenti. Un ultimo vantaggio è in termini di sicurezza. L’archiviazione digitale consente infatti di elaborare, gestire e archiviare le informazioni in modo decisamente più sicuro.

Investimenti in R&S, il motore della ripresa

Le risorse destinante alla ricerca e sviluppo previste nel PNRR ammontano a circa 17 miliardi di euro, circa il 7,5% complessivo del totale. La maggior parte si concentrano su ricerca applicata e sviluppo sperimentale (10 miliardi), ricerca di base (4 miliardi), azioni trasversali e di supporto (1,88 miliardi) e trasferimento tecnologico (380 milioni). 

Sono alcuni dati emersi dalla terza edizione della Relazione sulla ricerca e l’innovazione in Italia – Analisi e dati di politica della scienza e della tecnologia del CNR. Il PNRR costituisce un’occasione irripetibile “per instaurare il circolo virtuoso tra ricerca e innovazione e sviluppo economico e sociale del paese – afferma Maria Chiara Carrozza, presidente del CNR – e avviare numerosi progetti di sviluppo scientifico e tecnologico e nuove collaborazioni tra mondo accademico, amministrazione pubblica, enti locali e industria”.

Spesa per R&S in rapporto al PIL all’1,4%

Per quanto riguarda i Programmi Quadro europei, l’Italia contribuisce al bilancio per la ricerca comunitaria con il 12,5%, ma i finanziamenti che ritornano sono pari all’8,7%. Ciò dipende anche dal fatto che i ricercatori in Italia sono meno rispetto ai nostri partner europei (6 su mille unità di forza lavoro contro oltre 10 in Francia e Germania).

In Italia la spesa per R&S in rapporto al PIL è in lieve ripresa (1,4%), poiché gli stanziamenti pubblici hanno smesso di ridursi. Anche l’andamento del personale addetto alla R&S cresce, grazie all’incremento del personale nelle imprese, che ha raggiunto 218mila addetti.

Gli iscritti al dottorato sono meno della media UE

Solo lo 0,5% della popolazione in età lavorativa in Italia ha però il dottorato di ricerca, contro l’1,2% della media dell’Unione. Anche gli iscritti al dottorato sono meno della media UE: lo 0,14% contro lo 0,28%. Non sorprende poi che una parte dei nostri studenti svolga il dottorato all’estero: dopo 6 anni dal conseguimento del titolo il reddito medio mensile in Italia è pari a 1.679 euro contro 2.700 all’estero.

È necessario aumentare il numero di coloro che conseguono questo titolo, circa 10 mila studenti l’anno, per compiere un salto nella specializzazione tecnologica e produttiva verso settori e industrie a più elevato contenuto di conoscenza, riporta Italpress.

Più della metà dei dottori di ricerca è donna

La quota di donne rappresenta più della metà dei dottori di ricerca, ma gli uomini coprono il 60% dei posti nelle STEM e le donne il 58% nelle altre materie. Il gap salariale esplode nelle scienze mediche, dove gli uomini, dopo 4-6 anni dal conseguimento del titolo, guadagnano 704 euro in più delle donne. 

Per quanto riguarda la produzione scientifica, si conferma una comunità accademica e della ricerca che risponde alle incertezze istituzionali generando una quantità di pubblicazioni scientifiche pari al 5% sul totale mondiale, e con un impatto in aumento. La produzione di brevetti continua a essere però sotto paesi come Germania e Francia, con 4.600 brevetti italiani depositati all’Ufficio Europeo del Brevetto nel 2020, contro 25.954 in Germania e 10.554 in Francia.

Dop economy, nel 2020 ‘tiene’ e raggiunge 16,6 miliardi

La Dop economy vale il 19% del fatturato complessivo del settore agroalimentare nazionale, e nell’anno segnato dalla pandemia raggiunge 16,6 miliardi di valore alla produzione (-2%) e 9,5 miliardi di export (-0,1%), pari al 20% delle esportazioni nazionali di settore. Questo grazie al contributo delle grandi produzioni certificate, anche se non mancano elementi che confermano un forte dinamismo del sistema delle Indicazioni Geografiche italiane, fra cui l’affermarsi di categorie come le paste alimentari o i prodotti della panetteria e pasticceria. Lo attesta l’analisi del XIX Rapporto Ismea- Qualivita sul settore italiano dei prodotti Dop Igp.

Export a 5,6 miliardi, -1,3% su base annua ma +71% dal 2010

Le esportazioni dei prodotti Dop Igp hanno un peso del 20% nell’export agroalimentare italiano, e raggiungono 5,6 miliardi, per un -1,3% su base annua e un trend del +71% dal 2010. Risentono degli effetti della pandemia soprattutto i mercati extra-UE (-4,3%), mentre cresce l’export in UE (+4,1%) con incrementi a doppia cifra per i Paesi scandinavi e del Nord Europa. Ma i mercati principali si confermano Germania (770 milioni), Usa (647 milioni), Francia (520 milioni) e Regno Unito (268 milioni). Il valore complessivo è frutto anche di un andamento diverso fra i comparti cibo e vino, con il cibo che con 3,92 miliardi registra un incremento del valore esportato del +1,6%, e il vino, che con 5,57 miliardi mostra un calo del -1,3%.

Si conferma la concentrazione del valore nel Nord Italia

Tutte le regioni e le province italiane registrano un impatto economico delle filiere Dop Igp, anche se si conferma la concentrazione del valore nel Nord Italia.
Fra le prime venti province per valore, ben undici sono delle regioni del Nord-Est, a partire dalle prime tre, Treviso, Parma e Verona, che registrano un impatto territoriale oltre il miliardo. Nel 2020 solo l’area Sud e Isole mostra un incremento complessivo del valore rispetto all’anno precedente (+7,5%), con crescite importanti soprattutto per Puglia e Sardegna.

Agroalimentare e vitivinicolo 

L’agroalimentare italiano Dop Igp Stg, riporta Italpress, coinvolge oltre 86mila operatori, 165 Consorzi autorizzati e 46 organismi di controllo. Nel 2020 raggiunge 7,3 miliardi di valore alla produzione, per un -3,8% in un anno e un trend del +29% dal 2010. Stabile il valore al consumo a 15,2 miliardi, per un andamento del +34% sul 2010.
Il vitivinicolo italiano Dop Igp coinvolge invece oltre 113mila operatori, 121 Consorzi autorizzati e 12 organismi di controllo. Nel 2020 registra 24,3 milioni di ettolitri di vino Ig imbottigliato (+1,7% in un anno), con le Dop che rappresentano il 68% della produzione e le Igp il 32%. Il valore della produzione sfusa di vini Ig è di 3,2 miliardi, mentre all’imbottigliato è 9,3 miliardi (-0,6%), con le Dop che ricoprono un peso economico pari all’81%.

Ridurre le emissioni con il digitale: per le aziende è una priorità

La gravità dell’emergenza climatica richiede la mobilitazione da parte delle realtà di ogni settore industriale ed economico. E la tecnologia digitale offre il percorso più diretto per ottenere gli obiettivi stabiliti negli accordi presi alla COP 26. Il report di Schneider Electric, dal titolo Unlocking a sustainable future: Why digital solutions are the key to sustainable business transformation, analizza il ruolo della digitalizzazione ‘nell’arena’ della sostenibilità e dell’efficienza energetica. Condotto insieme a CNBC Catalyst, il report descrive come aziende e istituzioni stanno sfruttando le tecnologie digitali per ridurre le emissioni di gas serra, realizzare la transizione all’energia rinnovabile, e rendere più trasparente la loro supply chain.

Sfruttare AI e machine learning per creare sostenibilità e risparmio energetico

Gli impegni presi durante la conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico modificheranno le priorità delle aziende di tutto il mondo. Tanto che ci si aspetta da parte delle aziende un’accelerazione nell’adozione di modelli a zero emissioni come principio organizzativo dell’attività di business. Integrando l’intelligenza umana e quella delle macchine, le aziende incluse nel report hanno sfruttato la capacità degli algoritmi e del calcolo a elevate performance per creare cambiamenti in ambiti essenziali come l’uso dell’energia, la progettazione urbana, il consumo di risorse, l’efficienza della supply chain, e la generazione di energia elettrica

Un futuro più sostenibile è cruciale per assicurare la fattibilità del business

L’aumento delle aspettative rispetto al raggiungimento dei risultati di sostenibilità ha alzato il livello della sfida per le aziende. I messaggi lanciati durante la COP26 hanno enfatizzato la necessità da parte di governi e aziende di dare conto del proprio impegno. Le aziende più progressiste hanno capito che un futuro più sostenibile è cruciale per assicurare la fattibilità del loro business a lungo termine. Swire Properties, ad esempio, ha avviato un percorso di decarbonizzazione focalizzato sulla riduzione dell’intensità di emissioni di gas serra nel suo portfolio immobiliare. Per farlo ha investito in strumenti di misurazione digitale efficienti, e ha stretto una partnership con Schneider Electric per creare un modello dell’efficienza energetica nei suoi edifici. Questo ha portato a una riduzione del 19% nelle emissioni di gas serra complessive generate dalle proprietà.

Misurare e gestire l’impatto ambientale con le piattaforme online

Gli investimenti in tecnologie digitali possono produrre valore rilevante se realizzati con un partner in grado di moltiplicarne gli effetti.
In uno scenario in cui la digitalizzazione è cruciale per la continuità del business, risulta evidente la necessità di agire per un futuro più resiliente, anche grazie all’efficienza energetica. In questo senso, IHG Hotels & Resorts aiuta i suoi partner in franchising di tutto il mondo a misurare e gestire l’impatto ambientale usando una piattaforma online innovativa. E due hotel della catena stanno portando avanti un progetto di decarbonizzazione all’interno di un percorso verso le emissioni zero, attuato sulla base di modelli e valutazioni dell’impatto in termini di emissioni di Co2.

A dicembre frenata congiunturale dell’Indice dei prezzi tecnologici

A dicembre 2021 l’Indice dei Prezzi Tecnologici (IPT) scende di -2,30 punti rispetto a novembre, confermando la tradizionale contrazione congiunturale dell’ultimo mese dell’anno.
I settori che hanno subito le maggiori contrazioni dei prezzi sono stati quelli delle Comunicazioni e dell’Entertainment. Dal 2016 è la più elevata diminuzione congiunturale del mese di dicembre degli ultimi 5 anni, ma a livello tendenziale, ovvero rispetto a dicembre 2020, l’IPT ottiene un incremento di +0,65 punti, continuando il trend di crescita dei prezzi degli ultimi mesi su base annua.

Comunicazioni e Entertainment in contrazione

Nelle Comunicazioni si registrano flessioni importanti per Assistenti vocali (-11,16 punti IPT e -6,68 punti rispetto a dicembre 2020), Wearable Health&Fitness (-7,01 punti), Telefoni Cellulari (-6,03) e Telefoni Fissi VOIP (-5,42), che tuttavia sono incrementati di 12,21 punti rispetto a dicembre 2020.
Nell’Entertainment sono quattro le famiglie tecnologiche che hanno contribuito a contrarre l’IPT. I TV Flat per via del bonus governativo (-4,55 punti), che tuttavia hanno registrato un incremento tendenziale di 7,40 punti rispetto a dicembre 2020, l’Home Cinema, diminuito di 2,93 punti, e di 16,57 punti rispetto a dicembre 2020, le Consolle per Videogiochi, che riducono l’IPT di 2,66 punti rispetto a novembre 2021 e di 7,12 punti rispetto a dicembre 2020, e le Digital Camera, in contrazione congiunturale di 2,51 punti.

Contributo positivo dei prodotti GED e PED

Un contributo positivo all’IPT di dicembre 2021 arriva dai Grandi Elettrodomestici e dal settore Informatico. Per quanto riguarda il GED, gli elettrodomestici Built-in hanno vivacizzato verso l’alto l’IPT: Piani cottura (+3,41 punti), (Forni +2,73), Frigoriferi e Lavatrici Built-in, che hanno registrato non solo aumenti congiunturali (rispettivamente +3,23 e +2,42 punti) ma anche importanti incrementi dell’IPT a rispetto a dicembre 2020 (+19,46 e +13,37).
Ulteriori consistenti rialzi di prezzi di alcune famiglie di prodotti PED, un settore su cui si concentra molto l’attenzione degli italiani per i regali tecnologici di fine anno: tra i più rilevanti segnaliamo le Macchine da Caffè (+19,08); i prodotti per i Capelli (+14,44 punti) e gli Aspirapolvere (+10,34).

Le oscillazioni del settore Informatico

Quanto al settore Informatico, per i Notebook la decrescita tendenziale dell’IPT è di 40,81 punti, mentre sono cresciuti i prezzi delle Stampanti Multifunzione (+8,31 punti di IPT), dei Computer Desktop (+2,30) e dei Monitor (+1,94). Ma se Multifunzione e Desktop segnano un arretramento dell’IPT tendenziale (rispettivamente -8,30 e -7,49 punti), i Monitor rialzano i prezzi anno su anno (+12,30 punti). Dicembre è sicuramente un mese atipico per l’intero settore delle vendite al dettaglio, e per il settore della tecnologia ancora più degli scorsi anni.
Sono diversi i fattori che hanno agito sulle politiche di pricing, determinando uno scenario complesso in cui produttori e rivenditori dovranno districarsi, almeno nei primi mesi del 2022.

Smart-working, le 5 mosse per l’equilibrio tra vita privata e lavoro

Quali sono le ‘5 mosse vincenti’ per trovare un buon equilibrio tra lo smartworking e la vita privata? Primo, organizzare il lavoro, secondo, no al multitasking, terzo, rilassare la mente, quarto, trovare i propri spazi, e quinto, dedicarsi del tempo. Sono i cinque consigli utili che MeglioQuesto, il network globale e player di riferimento in Italia nel settore della customer experience, in collaborazione con Relief, hanno proposto come primo pronto soccorso psicologico per le emergenze emotive e il benessere quotidiano al fine di supportare gli smart worker in un clima psicologico ottimale.

Diminuisce la percentuale di smart workers pienamente ingaggiati

Lo scenario da cui partono gli esperti di MeglioQuesto e Relief è quello delineato dall’Osservatorio Smart Working, che ha stimato come al termine della pandemia le organizzazioni prevedano un aumento degli smart workers rispetto ai numeri registrati negli ultimi diciotto mesi.  Il perdurare dell’emergenza sanitaria, e i lunghi periodi di lavoro forzato da casa, hanno avuto però anche ripercussioni negative. È infatti diminuita la percentuale di smart workers pienamente ingaggiati (ovvero legati all’azienda e attaccati al proprio lavoro, oltre che soddisfatti), passata dal 18% al 7%, restando comunque, seppur di poco, superiore a quella degli altri lavoratori inseriti in organizzazioni tradizionali (pari al 6%).

Il tecnostress ha colpito un lavoratore su quattro 

In questo scenario, il tecnostress, l’impatto negativo a livello comportamentale o psicologico causati dall’uso delle tecnologie, ha poi interessato un lavoratore su quattro, in misura maggiore smart workers (28% contro il 22% degli altri dipendenti), in particolare, donne (29% contro il 22% dei colleghi) e responsabili (27% contro il 23% dei collaboratori). Alcuni possibili effetti negativi del tecnostress sono il peggioramento dell’equilibro tra vita privata e lavoro, dell’efficienza e l’overworking, ovvero dedicare un’elevata quantità di tempo alle attività lavorative trascurando momenti di riposo.

Ottenere una separazione più efficace degli ambiti personali da quelli produttivi

Tecnostress e overworking hanno coinvolto il 13% dei lavoratori, e in misura maggiore gli smart worker rispetto agli altri lavoratori (17% contro 9%), le donne più degli uomini (19% contro 11%) e i manager più dei collaboratori (19% contro 9%).  Da qui la strategia e i consigli di MeglioQuesto e Relief, che hanno l’obiettivo di aiutare i lavoratori a organizzare meglio il tempo, e modulare le emozioni per ottenere una più efficace separazione degli ambiti personali da quelli produttivi. Ovviamente, a vantaggio di entrambi.

Studiare matematica e fisica favorisce lo sviluppo del pensiero algoritmico?

Gli studenti di oggi saranno i lavoratori del futuro, e il mercato futuro richiederà competenze sempre più legate all’informatica e al mondo dei big data, ambiti ora più che mai alla ribalta anche per la situazione pandemica globale. I dati quindi sono e saranno una risorsa fondamentale, e saperli gestire una competenza molto richiesta dal mercato del lavoro. Che gli studenti italiani sappiano “contare” si sa, ma come se la cavano con il pensiero algoritmico? Uno studio pubblicato sulla rivista internazionale Journal of Complex Networks (Oxford University Press) ha quantificato l’abilità dei maturandi di pensare in termini di dati, modelli e simulazioni sul mondo che li circonda. E i risultati evidenziano nuove sfide per la scuola del futuro.

Uno studio evidenzia le lacune dei giovani studenti italiani

La ricerca, svolta in collaborazione con la New York Hall of Science e la HSE University, evidenzia alcune criticità nel modo di percepire i dati e gli algoritmi da parte degli studenti italiani esposti a programmi didattici intensivi di matematica, fisica e scienze della vita. Confrontando il modo di pensare di oltre 200 tra studenti di scuola superiore e ricercatori internazionali in data science, lo studio ha evidenziato alcuni ‘tasselli’ mancanti nella mente dei giovani studenti, soprattutto nell’ambito del cosiddetto pensiero algoritmico.

Non servono competenze ma una ‘forma mentis’ particolare

“Il pensiero algoritmico è l’abilità di ragionare sul mondo in termini di dati, modelli e predizioni – spiega il dottor Massimo Stella, professore di Data Science alla University of Exeter (UK) e primo autore dello studio -. Non si tratta di possedere competenze, come saper risolvere integrali e derivate, ma piuttosto di possedere una forma mentis adatta a identificare metodi per estrarre informazioni, come il coding, le simulazioni o i modelli”.

La scuola del futuro deve fornire anche strumenti di pensiero

Più in particolare, la ricerca ha evidenziato come gli studenti siano inconsapevoli del pensiero algoritmico e inquadrino concetti come ‘modello’ o ‘simulazione’ come eventi legati a persone o alla moda. Al contrario, i ricercatori hanno legato tali concetti a modi di ottenere nuove conoscenze sul mondo, come nei sistemi quali il meteo, i social media o i mercati finanziari. Tutti sistemi di chiaro impatto per il lavoro di domani. La scuola del futuro deve affrontare un’ulteriore sfida per essere portatrice di innovazione: usando la forma mentis dei ricercatori come fonte d’ispirazione, agli studenti dovrebbero essere fornite non solo competenze, ma anche strumenti di pensiero, proprio come quello algoritmico.

Italia, aumenta ancora la tassa per i rifiuti

Catania è il capoluogo di provincia più caro, mentre Potenza è il più economico. A livello regionale, è il Veneto l’area più conveniente mentre la Campania quella che paga il conto più salato: si tratta della classifica dell’entità della tassa dei rifiuti, un onore che nell’ultimo anno è aumentato a livello nazionale dell’1,5%.

Cifre che pesano
A livello di budget familiare, quella della tassa rifiuti non è una voce da poco: è di 312 euro la tassa per i rifiuti pagata in media nel 2021 da una famiglia nel nostro Paese, prendendo come riferimento per il 2021 un nucleo tipo composto da 3 persone ed una casa di proprietà di 100 metri quadri. Facendo i conti in tasca agli italiani, la rilevazione annuale dell’Osservatorio prezzi e tariffe di Cittadinanzattiva afferma che la regione con la spesa media più bassa è il Veneto (232 euro), dove si registra anche una diminuzione del 4% circa rispetto all’anno precedente. Al contrario, la regione con la spesa più elevata resta la Campania (416 euro, -0,6% rispetto al 2020). A livello territoriale si registrano aumenti in dodici regioni: incremento a due cifre in Liguria (+10,3%), segue la Basilicata con +8,1%, il Molise con +6,1% e la Calabria con +5,9%; tariffe in diminuzione in sei: in Sardegna si registra un -5% e in Veneto un -3,8%. Sempre a livello di aree geografiche, i rifiuti costano meno al Nord (in media 270 euro, +1,6% rispetto al 2020), segue il Centro (313 euro, +2,4%), infine il Sud, più costoso (353 euro, +1,3%).
“A fronte di una spesa media a famiglia che continua a salire e di una eccessiva sperequazione della tariffa fra le regioni e le singole città, ci spiace constatare che soltanto il 10% dei capoluoghi di provincia applica la tariffa puntuale che incentiverebbe le famiglie a produrre meno rifiuti. Allo stesso modo ancora scarseggiano le iniziative per favorire il riuso e per ridurre i rifiuti, sebbene finalmente tutte le regioni registrino un aumento nei livelli di raccolta differenziata”, dichiara Tiziana Toto, responsabile politiche dei consumatori di Cittadinanzattiva.

Cresce anche la raccolta differenziata
In Italia cresce la raccolta differenziata ma sono ancora scarse le iniziative per favorire il riuso e limitare i rifiuti. Il Veneto è la regione più virtuosa, male la Sicilia. Secondo il rapporto Rifiuti urbani 2020 dell’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), gli italiani nel 2019 hanno prodotto 30,1 milioni di tonnellate di rifiuti urbani (-0,3% rispetto al 2018). La maggioranza è prodotta al Nord (47,9%) seguito dal Sud (30,3%) e infine dal Centro entro (21,8%). La media nazionale di raccolta differenziata ha raggiunto il 61,3% (+3,1 punti percentuale rispetto al 2018) mentre il 21% finisce in discarica. A livello di aree geografiche, primeggia anche in questo caso il Nord (69,6% di raccolta differenziata) seguito da Centro (58,1%) e Sud (50,6%).

I dieci trend che stanno cambiando il Non Food

L’Osservatorio Non Food 2021 di GS1 Italy ha stilato il decalogo delle tendenze e dei fenomeni di consumo per il settore No Food.
Trend che spesso rimangono confinati all’interno di un singolo comparto, ma che invece rappresentano tendenze di fondo comuni e che impattano, in modalità diverse, tutto il mondo del largo consumo non alimentare. La prima è un nuovo carrello della spesa. La minor vita sociale ha tagliato infatti molte esigenze degli italiani, facendo diminuire la spesa per prodotti come rossetti, sneaker e ferri da stiro. Al contrario, la maggior vita domestica ha spronato gli acquisti di altri prodotti (tagliacapelli, macchine per il caffè, ciabatte…), e l’home working ha imposto nuove esigenze, che hanno attutito il calo storico di comparti come cancelleria e tessile casa.

L’edutainment vola e nuovi stili di consumo affossano il lusso

In cinque anni l’edutainment è passato dal 3,2% al 4,9% di incidenza sul totale dei consumi Non Food in Italia, e oltre la metà delle vendite è realizzata online. Ma il commercio urbano centrale resta ancora il più rilevante tra le sei tipologie di agglomerazioni commerciali classificate dall’Osservatorio. Con la pandemia ha visto la riscoperta da parte degli italiani, e non solo per ragioni di comodità, ma anche perché ha saputo rispondere in modo più efficace alle nuove esigenze.  Il ritorno all’essenzialità e la riduzione degli acquisti voluttuari hanno poi penalizzato i beni di lusso. Ma sul luxury shopping ha avuto un impatto negativo anche il crollo del turismo straniero.

La distribuzione ‘alternativa’ conquista per la sua comodità

D’altronde, le misure sanitarie hanno penalizzato anche i centri commerciali e accelerato il loro processo di cambiamento. Nel post Covid-19 sarà quindi ancora più importante riposizionarsi come luoghi di ristoro ed entertainment, e non solo di shopping. Le limitazioni agli spostamenti e i timori sanitari hanno poi spinto l’e-commerce: le vendite online hanno guadagnato quota e valore in tutti i comparti del Non Food, con performance di spicco nell’elettronica di consumo e nei piccoli elettrodomestici, dove il web è diventato il primo canale di vendita. Accelera poi la crescita delle forme di distribuzione alternativa, come le vendite a domicilio o per corrispondenza, e quelle realizzate nei distributori automatici e nelle cosiddette ‘tabelle speciali’ (tabaccherie, stazioni di carburanti e farmacie).

Il ruolo degli influencer

Negozi di ottica e computer shop, mobilifici e ferramenta, garden center e autofficine sono invece alcuni negozi specializzati che stanno dimostrando di saper resistere all’evoluzione dei consumi non alimentari. E se uffici chiusi e lavoro da casa hanno penalizzato le attività commerciali nei business district, il permanere dello smart working potrebbe portare alla rivitalizzazione stabile dei centri di minori dimensioni. Ma se 88 italiani over 14 su 100 sono internauti, e amano soprattutto i social, si tratta di un trend che i retailer del Non Food hanno ben intercettato. Emblematici sono i casi dell’ottica e dei libri non scolastici, dove l’aumento delle vendite online è stato sostenuto da influencer e blogger.