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Giovani e lavoro: come ridurre il mismatch tra domanda e offerta?

Rispetto a una media europea del 41% l’Italia ha un tasso di occupazione degli under 40 del 32%, per una contrazione di occupati in questa fascia d’età che dal 2011 a oggi ha toccato i due milioni. Un trend che la pandemia ha contribuito ad acuire, sebbene nel secondo trimestre 2021 siano stati 233.500 i posti vacanti nell’industria e nei servizi, con un costo annuo generato dal mancato incontro tra domanda e offerta di lavoro stimato dal Censis in 21 miliardi di euro, l’1,2% del Pil. Ma come ridurre il mismatch tra domanda e offerta di lavoro? Alla questione cerca di rispondere un focus realizzato dalla Fondazione studi consulenti del lavoro dal titolo L’emergenzialità della questione giovanile. 

Serve un sistema nazionale di certificazione delle competenze

Il focus mette a sistema la scarsa offerta di formazione tecnica (sono solo 116 gli Its sul territorio nazionale), con le criticità lamentate dalle aziende in fase di reclutamento, e le basse retribuzioni in ingresso dei giovani. Secondo i consulenti del lavoro sarebbe quindi opportuno stabilire un rinnovato sistema di formazione dei lavoratori, e in parallelo, procedere alla definizione di un sistema nazionale di certificazione delle competenze, che garantisca ai singoli la possibilità di mettere in trasparenza, anche attraverso la blockchain, le esperienze di apprendimento ottenute.

Più strumenti di raccordo tra formazione e lavoro

E ancora, investire in formazione tecnica, a livello secondario e terziario, per avvicinare l’offerta di lavoro, soprattutto per i ‘pandemials’, i giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni, alle nuove esigenze delle aziende. Stage, tirocinio e apprendistato possono quindi rappresentare, secondo i dati contenuti nel focus, strumenti di raccordo tra momento formativo e mondo del lavoro, anche in una visione prospettica di rilancio e consolidamento di vantaggi competitivi e duraturi per il Paese.

Promuovere le competenze Stem

È urgente pertanto, riporta Adnkronos. investire nella promozione delle competenze Stem e nell’istruzione professionale per creare profili facilmente assorbibili dal mercato. Colmare il divario che tiene distante chi cerca e chi offre lavoro è infatti necessario, sia per rendere più competitive le aziende italiane sia per invertire quella tendenza che vede crescere i Neet (acronimo inglese di Neither in Employment or in Education or Training, ovvero coloro che non sono impegnati nello studio, né nel lavoro né nella formazione), e il ricorso ai sussidi pubblici.

Le aziende italiane non sono ancora pronte per la trasformazione digitale

Si parla spesso di Industria 4.0, di digitalizzazione e innovazione della PA e delle aziende, ma di fatto la maggior parte delle Piccole e medie imprese italiane non è pronta alla trasformazione digitale. A partire dalla gestione dei documenti, che in alcuni casi viene gestita addirittura ancora manualmente, con la documentazione in formato cartaceo. Di fatto, secondo uno studio effettuato da Digital Innovation, azienda italiana che opera da anni nel settore dell’Office Automation, dell’Information Technology e Digital Solution, risulta che il 65% delle aziende intervistate archivia i documenti in semplici cartelle sul proprio computer, non tenendo conto della sicurezza e della protezione dei dati. Ma questo modo di organizzare i file, con le cartelle che riempiono il computer, influenza in qualche modo la produttività, e aumenta il tempo che si impiega a portare a termine i progetti.

Le Pmi non sono interessate a cambiare il loro modo di lavorare

Al contrario, il processo di archiviazione digitale potrebbe guidare le aziende verso la trasformazione digitale, e al contempo offre alle imprese diversi vantaggi. Circa il 30% delle Piccole e medie imprese intervistate da Digital Innovation ha affermato, inoltre, che al momento non sono interessate a cambiare il loro modo di lavorare, e che un aggiornamento in termini di archiviazione documentale non gli interessa. Il restante 5% invece ha risposto che archivia i documenti ancora in maniera cartacea, poiché in ufficio dispone di spazi molto grandi e di personale per poter gestire l’archivio.

L’archiviazione di documenti in formato cartaceo è sempre più dispendiosa

Eppure l’archiviazione di documenti in formato cartaceo diventa sempre più dispendiosa in termini di produttività, a causa della difficoltà di ricerca e condivisione delle informazioni raccolte nei documenti stessi. Il processo di archiviazione digitale, al contrario, può guidare le aziende verso la trasformazione digitale e offre diversi vantaggi. Innanzitutto in termini di rapidità, perché semplifica e automatizza i flussi di lavoro documentali. Un altro vantaggio è rappresentato da una più semplice condivisione dei documenti stessi, perché l’archiviazione digitale permette di accedere ai dati ovunque e in qualunque formato.

Rapidità, condivisione, risparmio e sicurezza: i vantaggi dell’archivio digitale
Oltre a rapidità e condivisione, secondo Digital Innovation l’archiviazione digitale dei documenti permette alle aziende di risparmiare denaro, perché riduce i costi di stampa e quelli di archiviazione dei documenti. Un ultimo vantaggio è in termini di sicurezza. L’archiviazione digitale consente infatti di elaborare, gestire e archiviare le informazioni in modo decisamente più sicuro.

Ridurre le emissioni con il digitale: per le aziende è una priorità

La gravità dell’emergenza climatica richiede la mobilitazione da parte delle realtà di ogni settore industriale ed economico. E la tecnologia digitale offre il percorso più diretto per ottenere gli obiettivi stabiliti negli accordi presi alla COP 26. Il report di Schneider Electric, dal titolo Unlocking a sustainable future: Why digital solutions are the key to sustainable business transformation, analizza il ruolo della digitalizzazione ‘nell’arena’ della sostenibilità e dell’efficienza energetica. Condotto insieme a CNBC Catalyst, il report descrive come aziende e istituzioni stanno sfruttando le tecnologie digitali per ridurre le emissioni di gas serra, realizzare la transizione all’energia rinnovabile, e rendere più trasparente la loro supply chain.

Sfruttare AI e machine learning per creare sostenibilità e risparmio energetico

Gli impegni presi durante la conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico modificheranno le priorità delle aziende di tutto il mondo. Tanto che ci si aspetta da parte delle aziende un’accelerazione nell’adozione di modelli a zero emissioni come principio organizzativo dell’attività di business. Integrando l’intelligenza umana e quella delle macchine, le aziende incluse nel report hanno sfruttato la capacità degli algoritmi e del calcolo a elevate performance per creare cambiamenti in ambiti essenziali come l’uso dell’energia, la progettazione urbana, il consumo di risorse, l’efficienza della supply chain, e la generazione di energia elettrica

Un futuro più sostenibile è cruciale per assicurare la fattibilità del business

L’aumento delle aspettative rispetto al raggiungimento dei risultati di sostenibilità ha alzato il livello della sfida per le aziende. I messaggi lanciati durante la COP26 hanno enfatizzato la necessità da parte di governi e aziende di dare conto del proprio impegno. Le aziende più progressiste hanno capito che un futuro più sostenibile è cruciale per assicurare la fattibilità del loro business a lungo termine. Swire Properties, ad esempio, ha avviato un percorso di decarbonizzazione focalizzato sulla riduzione dell’intensità di emissioni di gas serra nel suo portfolio immobiliare. Per farlo ha investito in strumenti di misurazione digitale efficienti, e ha stretto una partnership con Schneider Electric per creare un modello dell’efficienza energetica nei suoi edifici. Questo ha portato a una riduzione del 19% nelle emissioni di gas serra complessive generate dalle proprietà.

Misurare e gestire l’impatto ambientale con le piattaforme online

Gli investimenti in tecnologie digitali possono produrre valore rilevante se realizzati con un partner in grado di moltiplicarne gli effetti.
In uno scenario in cui la digitalizzazione è cruciale per la continuità del business, risulta evidente la necessità di agire per un futuro più resiliente, anche grazie all’efficienza energetica. In questo senso, IHG Hotels & Resorts aiuta i suoi partner in franchising di tutto il mondo a misurare e gestire l’impatto ambientale usando una piattaforma online innovativa. E due hotel della catena stanno portando avanti un progetto di decarbonizzazione all’interno di un percorso verso le emissioni zero, attuato sulla base di modelli e valutazioni dell’impatto in termini di emissioni di Co2.

IWM Depuratori d’Acqua

Il nostro fabbisogno quotidiano di acqua varia in base all’età. Il corpo di un adulto è costituito per il 65% di acqua, quello di un neonato arriva addirittura all’85%. L’idratazione neonatale è fondamentale per garantire al neonato il delicato equilibrio di cui il suo giovanissimo organismo ha bisogno, per cui necessita di un acqua che possa garantirgli il giusto apporto idrominerale, che abbia le giuste caratteristiche e che sia quindi ben bilanciata. Questa necessità sorge in maniera più significativa quando deve essere usato un latte artificiale poiché la sua formulazione prevede appunto l’uso dell’acqua.

Qui entrano in gioco delle caratteristiche fondamentali, quali il grado di mineralizzazione, se contenga nitrati o contaminanti vari, il residuo fisso e così via; ma soprattutto deve essere un’acqua oligominerale, per non rischiare di sovraccaricare i giovanissimi reni. Insomma, di raccomandazioni pediatriche ne abbiamo a sufficienza per preoccupare una neo-mamma che si trova a dover scegliere un’acqua adatta al suo bambino, così via alla ricerca spasmodica delle etichette che riportino la dicitura: utilizzabile nella prima infanzia. Addirittura ci sono acque vendibili esclusivamente nelle farmacie data la loro particolare natura e composizione. Quale madre non baderebbe a spese pur di garantire la salute dei propri figli? Eppure un metodo altrettanto sicuro e certamente meno dispendioso per fare questo esiste ed è commercializzato dalla IWM, International Water Machines, azienda leader nel trattamento delle acque potabili.

Questa importante azienda produce depuratori che erogano acqua oligominerale con lo stesso pH del liquido amniotico, particolarità fondamentale se si pensa all’alimentazione di un neonato, nonché consente, nel processo di purificazione dell’acqua, di mantenere inalterate le caratteristiche anche organolettiche della purezza, permettendo ai minerali di coesistere con questa, al contrario di altri metodi di filtraggio del mercato, garantendo quindi la giusta idratazione ed il corretto apporto di minerali utili al nostro organismo. All’interno del sito internet è possibile trovare esaurienti informazioni circa il depuratore acqua, e gli altri prodotti IWM, in alternativa basta chiamare il numero verde: 800 800 813 per avere a propria disposizione gentilezza, efficienza e celerità, nonché convenienza.

Pagamenti digitali, nel 2020 valgono 268 miliardi di euro

Quanto valgono i Pagamenti Digitali in Italia? Secondo i dati dell’Osservatorio Innovative Payments della School of Management del Politecnico di Milano nonostante un calo generalizzato dei consumi di oltre il 13%, i pagamenti digitali nel 2020 hanno toccato quota 5,2 miliardi di transazioni, passando dal 29% al 33% del valore totale dei pagamenti, e raggiungendo 268 miliardi di euro, -0,7% rispetto al 2019. A crescere sono stati soprattutto i pagamenti tramite contactless, e ancor più quelli tramite smartphone e wearable, le modalità senza contatto si sono infatti affermate come valide alleate dei cittadini contro la diffusione del contagio da Covid-19.

La spinta degli incentivi governativi

“Prima del lockdown di marzo 2020, nonostante tassi di crescita promettenti, i pagamenti digitali non erano ancora permeati completamente nella quotidianità degli italiani – dichiara Alessandro Perego, Responsabile Scientifico degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano -. Secondo i dati della Banca Centrale Europea, infatti, l’Italia nel 2019 si posizionava al 24° posto su 27 nella classifica continentale delle transazioni con carta pro-capite seguita solo da Germania, Romania e Bulgaria, tutti Paesi con crescite superiori alla nostra. Oltre alla pandemia – prosegue Perego – nel corso di quest’anno sono entrate in gioco anche alcune iniziative di incentivo del Governo, che hanno acceso i riflettori su queste tematiche e stanno portando, direttamente o indirettamente, sempre più persone a preferire i pagamenti elettronici”.

Gli effetti del lockdown

La chiusura pressoché totale di attività commerciali e servizi non strettamente necessari ha certamente frenato anche le transazioni. Tuttavia, i pagamenti digitali si sono dimostrati importanti alleati per i cittadini nelle prime fasi di forte difficoltà, e molti italiani si sono avvicinati ancora di più al mondo dell’e-commerce e dei pagamenti online. Il comparto dell’acquisto di prodotti online ha fatto segnare, infatti, un aumento del 31% nel 2020, con lo smartphone che diventa il device preferito dagli italiani per effettuare pagamenti da remoto e acquisti online, tanto che il mobile commerce raggiunge quota 15,65 miliardi di euro, per una penetrazione sul totale e-commerce del 51%.

Pagamenti tramite smartphone o wearable in negozio, +80%

“Nonostante mesi di chiusure in cui non sono stati di fatto utilizzabili, gli acquisti in modalità contactless con carta nel corso del 2020 salgono del 29% in termini di valore transato, raggiungendo 81,5 miliardi di euro – commenta Valeria Portale, Direttore dell’Osservatorio Innovative Payments -. Questa crescita, sostenuta dal sempre maggior numero di carte contactless in circolazione, potrà beneficiare in futuro anche della nuova soglia introdotta dalla PSD2 (50 euro) sotto la quale è possibile effettuare transazioni senza passare la propria carta all’operatore in cassa -. Ancora più marcata – aggiunge Portale – è la crescita per i pagamenti tramite smartphone o wearable in negozio, che in questo periodo di incertezza crescono del +80% circa rispetto al 2019, superando i 3,4 miliardi di euro”.

Come creare un giardino Mediterraneo

Creare un giardino Mediterraneo può essere difficile per chi non ha grande esperienza nella manutenzione giardini, ma seguendo alcuni consigli è possibile ottenere dei risultati apprezzabili. Sicuramente il clima mediterraneo prevede delle piante e degli alberi che siano abituati alla scarsità d’acqua e temperature estive elevate. Nonostante queste caratteristiche, non ci sono limiti che non possano essere superati per portare a termine il tuo bellissimo giardino Mediterraneo. Ecco alcuni aspetti sui quali devi focalizzare l’attenzione.

Scegli le piante giuste

Una delle prime cose da evitare quando si progetta la realizzazione di un giardino mediterraneo è quella di posizionare delle piante che necessitano di molta acqua. Questo non significa che è necessario rinunciare al prato verde, in quanto esistono delle ottime alternative di specie erbacee che possono crescere anche in condizione di scarsa acqua, la gramigna è il tipico esempio. Potresti adoperare anche la ghiaia da posizionare attorno alle piante in quanto questa consente di rallentare l’evaporazione dell’acqua.

Opta per piante resistenti

Nelle regioni Mediterranee ci sono tantissime piante che ben si sono adattate alle condizioni di vita calde e secche tipiche di questa zona. Evita dunque di scegliere piante dal clima continentale o tropicale perché commetteresti un errore. Pensa ad esempio a piante quali i gerani, l’agapanthus, il rosmarino, la salvia, la lavanda e arbusti quali ulivi e cipressi.

Sfrutta i vasi

Tipicamente, nelle zone del Mediterraneo vengono sfruttati i vasi, che ne rappresentano anche lo stile. Si tratta perlopiù di vasi in ceramica che creano dei bellissimi punti focali nel tuo giardino. Potresti pensare di piantare qui le piante aromatiche o fiori quali le ortensie.

Crea un piccolo orto

Un orto è tipico della tradizione Mediterranea e fornisce delle provviste davvero salutari e migliori di quelle che puoi comprare al mercato. Pensa ad esempio a pomodori e zucchine, che sono molto facili da far crescere, così come alberelli di limoni e arance.

Ricorda infine di riservare per il tuo orto la zona più illuminata del giardino, in quanto queste piante hanno bisogno di parecchie ore di sole ogni giorno.

In Europa migliora la parità, ma non nelle aziende: solo 6% donne capo

Qualcosa si muove in Europa per l’uguaglianza di genere, ma la strada obiettivamente è ancora lunga, visto che sono appena 42 le società dell’indice di borsa STOXX Europe 600 con a capo una donna (il 6%), e solamente 130 (19%) le realtà in cui è presente una donna a ricoprire almeno una funzione tra ceo o coo. È quanto emerge dall’indice di Gender Diversity in Europa, lo studio europeo rilasciato da EWOB, l’associazione no profit European Women on Boards, di cui Valore D è membro, che ogni anno analizza la rappresentanza di genere nei consigli di amministrazione e nei vertici aziendali delle 668 più grandi società europee.

Italia al sesto posto nell’indice di Gender Diversity

Le cose possono cambiare, come ha detto il neo presidente degli Stati Uniti d’America Joe Biden alla cerimonia d’insediamento della presidenza americana rivolta a Kamala Harris, la prima donna alla carica di vicepresidente. Ma in Europa la strada è appunto ancora lunga, anche se la lettura dell’indice ha qualche risvolto incoraggiante.  L’Italia occupa infatti al sesto posto nell’indice di Gender Diversity tra i paesi europei esaminati, con il 37% di donne nei cda, il 22% di donne a capo di un cda e il 45% delle donne a capo dei comitati di controllo, parametro per cui l’Italia è in testa alla classifica. Al top dell’indice si trovano Norvegia, Francia, Gran Bretagna, Finlandia e Svezia.

Solo il 17% le donne italiane presenti nei livelli esecutivi

Allo stesso tempo fuori dei consigli di amministrazione, il nostro paese è ancora lontano dall’essere bilanciato, infatti la percentuale di donne nei livelli esecutivi è solo del 17% contro il 33% della Norvegia e il 25% degli UK. Inoltre, in Italia solo il 4% delle donne sono ceo contro il 21% della Norvegia, o il 15% dell’Irlanda. Le prime cinque aziende in classifica, poi, sono inglesi e svedesi, e le prime tre sono accomunate da una leadership perfettamente equilibrata (Gender diversity index = 1). Al top, riporta Ansa, c’è l’inglese Assura, seconda la svedese Wihlborgs Fastigheter, terza l’inglese Grainger, quarte e quinte le svedesi Kinnevic B e Sweco B.

Cultura politica e aziendale dominante alla base della sotto rappresentanza femminile

I dati 2020 sono però da inquadrare in un periodo, come è noto, molto difficile. Oltre alle conseguenze dirette sulla salute la pandemia ha danneggiato il benessere e la conciliazione vita-lavoro di molti lavoratori. Allo stesso tempo, il 2020 è stato un anno di movimenti sociali e proteste che chiedono proprio di affrontare i divari.  Secondo la UE però la sotto rappresentanza femminile nei processi e ruoli decisionali dipende essenzialmente dalla perpetuazione di stereotipi di genere, dalla mancanza di un adeguato supporto a donne e uomini per un corretto bilanciamento tra le responsabilità familiari e lavorative, nonché dalla cultura politica e aziendale dominante nelle società, riferisce Il Mattino.

Laser industriali tra innovazione e necessità di mercato

Grazie ai laser industriali oggi siamo in grado di raggiungere i risultati che sino a pochi anni fa  parevano difficili da potersi concretizzare. Tali strumenti vengono adoperati in svariati settori che vanno da quello medico-estetico a quello aerospaziale, dalle automotive al campo militare, e per questo oggi i laser di tipo industriale rivestono un ruolo fondamentale in ambito produttivo.

Il motivo per il quale sono così numerose le aziende che decidono di far ricorso al laser produttivo è facilmente intuibile se si pensa ai grandi vantaggi che questo tipo di strumento è in grado di dare rispetto quello che può essere un taglio di tipo manuale, ad esempio.

I vantaggi del laser industriale
Un laser industriale è infatti in grado di garantire grandissima precisione nel taglio nella curvatura ma anche nella saldatura e nella marcatura dei materiali, con un livello di precisione che difficilmente è ottenibile con altri metodi o con azioni di tipo manuale da parte di un operatore. Vi è inoltre un vantaggio non indifferente a livello economico, in quanto vi è chiaramente minore necessità di manodopera ed un minor numero di ore lavorative per riuscire a produrre il numero di pezzi del quale sia bisogno.

Questa è dunque la soluzione perfetta e che oggi consente concretamente alle aziende di ogni settore di rispondere in maniera efficace a quelle che sono le richieste di mercato e alla necessità di produrre ed inviare al cliente finale i pezzi rapidamente.

Una soluzione che nasce dalle esigenze di mercato

Infatti, proprio dalla necessità di rispondere in maniera efficace alle pressioni da parte del cliente finale (i quali non sono più soliti fare grandi ordinativi nel corso dell’anno ma preferiscono invece fare piccoli quantitativi ripetuti periodicamente) nasce la necessità di adottare tale soluzione riuscendo così a soddisfare questa utenza per adattarsi a quelle che sono le nuove esigenze di mercato.

Ecco dunque spiegati quelli che sono i motivi per i quali sempre più aziende decidono di iniziare a sfruttare laser industriali e migliorare così la qualità della propria produzione.

Temporary Cfo, boom di richieste per la ripartenza delle aziende

Tra la fine del lockdown e l’inizio della Fase 2 il temporary management si è trasformato in uno strumento per ridisegnare, o accelerare, il business. In particolare, nei settori aziendali di Finance e Tax & Legal, di Supply Chain e Business Process Rengineering, Strategia commerciale e Marketing, Digitalizzazione e Hr. L’emergenza Covid19 ha posto infatti le imprese di fronte alla necessità di trovare nuove strategie e soluzioni per pianificare la ripresa e tornare rapidamente alla normalità. E Randstad Professionals, la divisione specializzata in ricerca e selezione di middle, senior e top management di Randstad, dall’1 marzo al 30 maggio ha riscontrato l’80% in più di richieste relative ai profili di temporary manager e di fractional manager rispetto al trimestre precedente.

Richiesti i profili coinvolti in progetti di change management

Da un’indagine di Randstad Professionals, che ha coinvolto 260 professionisti per analizzare i profili, i settori e le tipologie aziendali maggiormente interessate dal fenomeno, emergono in particolare le richieste di Temporary Cfo. Si tratta di profili coinvolti in progetti di change management, tipicamente legati all’ingresso di fondi di investimento nel capitale sociale dell’azienda, di operazioni di Due Diligence o Ipo, di fusioni e acquisizioni, di progetti di Business Process Rengineering o piani di ricambio generazionale del management, riporta Adnkronos.

Una strategia vincente per accelerare il business

“L’emergenza Covid19 ha richiesto alla maggioranza delle imprese di riorganizzare strategia e processi per garantire competitività o per guadagnare posizioni rispetto alla concorrenza nei casi di piena attività – spiega Maria Pia Sgualdino, Head of Randstad Professionals – o le ha costrette a ridisegnare il core business quando non è stato possibile ripartire nel breve-medio termine. In questo contesto – continua Sgualdino – inserire un temporary manager offre una strategia vincente per accelerare il business, rivedere i processi, aggredire nuovi mercati o semplicemente implementare strumenti necessari alla sopravvivenza o al rilancio dell’azienda”.

Più in dettaglio, oltre il 50% dei Temporary Cfo intervistati ha maturato la sua ultima esperienza professionale in aziende con meno di cento dipendenti e il 25% in grandi imprese con oltre mille dipendenti.

I settori di appartenenza sono soprattutto quelli dei servizi e dell’industria

I settori di appartenenza dei Temporary Cfo sono soprattutto quelli dei servizi (27,7%) e dell’industria (26,2%), seguiti da automotive (8,2%), food & beverage (7,4%), fashion e retail (7%). Il background accademico del Temporary Cfo rivela una netta prevalenza di professionisti con una laurea in economia e commercio/finanza (80%), mentre il 7,5% si è laureato in altre facoltà e il 10,2% dei candidati si presenta sul mercato con un diploma di scuola media superiore. La grande maggioranza del campione ha un’esperienza di oltre 20 anni nel ruolo di Cfo. Per quanto riguarda la permanenza nel ruolo, il 30% vanta missioni di durata inferiore ai dodici mesi. Si rileva inoltre oltre il 20% di professionisti attualmente inoccupati.

L’Italia è 14a in Europa per gender gap

Con 63 punti su 100 l’Italia si colloca al 14° posto fra gli stati dell’Unione per disparità di genere. Questa è infatti la posizione del nostro Paese all’interno del Gender Equality Index 2019, l’Indice annuale di parità curato dall’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere. La buona notizia però è che il punteggio italiano, che risulta 4,4 punti sotto la media europea, è comunque salito di 3,8 punti tra il 2005 e il 2017. È quanto ha spiegato il Cnel nel corso di un’audizione alla Camera alla Commissione Lavoro della Camera, nell’ambito dell’esame delle proposte di legge sulle modifiche al codice delle pari opportunità tra uomo e donna.

“Non andiamo bene, ma andiamo meno peggio di altri”

Riguardo la disparità retributiva di genere “non andiamo bene, ma andiamo meno peggio di altri”, commenta il presidente del Cnel, Tiziano Treu, in audizione presso la Commissione Lavoro della Camera. Un dato positivo, spiega il Cnel, è che secondo l’Indice con 88,7 punti l’Italia registra la migliore performance di parità nel campo salute. Male invece le voci lavoro (63,1 punti) e raggiungimento di posizioni di vertice nella società (47,6 punti).

Nel settore conoscenza l’Italia invece registra, nei 12 anni presi in esame, una crescita di 7,1 punti, riporta Ansa.

Nel 2017 gli occupati maschi guadagnano il 7,4% rispetto alle donne

Nell’analisi presentata dal Cnel da un confronto tra gli ultimi dati Istat e quelli della Commissione Europea, entrambi relativi all’anno 2017, emerge che in Italia per gli occupati maschi la retribuzione oraria mediana è di 11,61 euro, superiore del 7,4% rispetto a quella delle donne, che si attesta sui 10,81 euro. Un trend, tuttavia. che risulta essere in calo rispetto all’8,8% registrato nel 2014. Questo, sottolinea il Cnel, per effetto di una maggiore crescita della retribuzione oraria mediana delle donne, salita del +2,4%, rispetto a quella maschile, cresciuta “solo” del +1%.

Un minore divario retributivo non significa che le donne siano pagate meglio

Si tratta di dati che consentono all’Italia di essere uno dei paesi Ue con il minore differenziale retributivo tra uomini e donne. Tanto che in Francia e in Spagna il differenziale è maggiore rispetto a quello italiano, così come in Germania, dove risulta anche più marcato. Tuttavia, come rilevato dalla Commissione europea, un minore divario retributivo di genere, in alcuni Paesi, non significa automaticamente che le donne siano pagate meglio. Un divario retributivo più basso spesso si verifica in Paesi caratterizzati da un tasso di occupazione femminile più basso. È proprio il caso dell’Italia, dove la differenza tra il tasso di occupazione maschile e quello femminile è il secondo più alto nella Ue, più che doppio rispetto a Germania e Francia. Per questo motivo il Cnel sottolinea come la questione fondamentale sia portare più donne sul mercato del lavoro.