Effetto Covid sull’università, circa 9.500 iscrizioni in meno

L’effetto della pandemia si fa sentire anche sulle iscrizioni all’università. L’anno accademico 2020/21 rischia infatti un crollo degli iscritti, di cui due terzi al Sud. Secondo le stime della Svimez la diminuzione degli immatricolati su scala nazionale ammonta a circa 9.500 studenti, di cui circa 6.300 nel Mezzogiorno e 3.200 nel Centro Nord. Al 2020 si stimano approssimativamente 292.000 maturi al Centro Nord e circa 197.000 al Mezzogiorno. Valutando l’impatto della crisi economica sul tasso di passaggio scuola/università, la Svimez prevede quindi una riduzione del tasso di proseguimento di 3,6 punti nel Mezzogiorno e di 1,5 nel Centro-Nord.

Il lento declino nei tassi di proseguimento scuola-università

I dati sul tasso di passaggio scuola-università dal 1991 al 2020 (2019 e 2020 stimati), mostrano come “a fronte del ritardo che ha caratterizzato gli anni ’90, nei primi anni 2000 il Mezzogiorno è riuscito a eguagliare e a superare nel 2003 il tasso di proseguimento del Centro-Nord, forse grazie alla riforma che in quegli anni introdusse il 3+2 nel sistema universitario italiano – sostiene la Svimez -. Da allora, è iniziato un lento declino nei tassi di proseguimento, esasperato dalla crisi 2008-2009 che ha portato il Mezzogiorno a registrare i tassi di proseguimento scuola-università più bassi dell’intera area euro”.

In 5 anni 20mila iscritti in meno nel Mezzogiorno

La crisi economica del 2008-2009, che si è trascinata fino al 2013, aveva provocato un crollo delle iscrizioni alle Università, soprattutto nel Mezzogiorno. Tra il 2008 e il 2013 il tasso di passaggio scuola-Università nel Mezzogiorno è crollato di 8,3 punti percentuali, quattro volte la diminuzione del Centro-Nord (1,6%). In un quinquennio gli iscritti si sono ridotti di oltre 20mila unità nelle regioni del Mezzogiorno. Anche nel Centro-Nord, la crisi aveva determinato un calo del tasso di proseguimento degli studi (-2 punti circa), ma per effetto della crescita dei diplomati non si è determinato una flessione del numero complessivo degli iscritti, riporta Adnkronos.

Il parziale recupero del Centro Nord

La ripresa delle iscrizioni e del tasso di passaggio nel periodo di debole ripresa (2013-19) ha consentito solo un parziale recupero per il Mezzogiorno, ancora lontano dai valori del 2008, a differenza del Centro-Nord che è tornato sui valori precrisi. Secondo il dato più recente (2019) il Mezzogiorno ha ancora 12.000 immatricolati in meno, e un tasso di passaggio di oltre 5 punti percentuali più basso. Mentre il Centro-Nord ha registrato per l’intero periodo un aumento di 30.000 immatricolati circa, e un aumento di oltre un punto percentuale del suo tasso di passaggio.

YouTube avvisa quando è ora di dormire

YouTube introduce una nuova funzione che aiuta gli utenti a non fare le ore piccole guardando video sullo smartphone. La novità, annunciata dall’azienda in un post, ricorda infatti agli utenti quando è ora di andare a letto.

Insomma, una sorta di sveglia al contrario, poiché la funzione consente di impostare un orario in cui smettere di guardare video e mettersi a dormire. Per attivarla, spiega una nota dell’Ansa, basta andare sulle impostazioni scegliendo di essere avvisati all’ora precisa in cui si desidera “staccare”, oppure aspettare fino al termine del video in esecuzione.

Guardando i video in un attimo i minuti diventano ore

L’emergenza coronavirus ha costretto molte persone a cambiare abitudini nel giro di pochissimo tempo, in un modo che sembrava impensabile fino a qualche mese fa. Le lunghe settimane di quarantena hanno condizionato vari aspetti della vita di ognuno, tra cui il ritmo sonno-veglia. Pare siano in molti che avendo abbandonato la consueta routine ora vanno a dormire sempre più tardi, svegliandosi stanchi a causa del sonno discontinuo. Spesso, ritrovandosi svegli in piena notte basta iniziare a vedere qualche video su YouTube, e in un attimo i minuti diventano ore. Complici i video consigliati, si entra in una spirale da cui è complicato uscire, si legge su hdblog.it.

Un promemoria ricorda agli utenti che è ora di andare a letto

Il fenomeno è così rilevante che anche YouTube se n’è accorto. E per arginare questa tendenza gli sviluppatori hanno introdotto un promemoria per ricordare agli utenti che è ora di staccare la spina e di andare a letto.

La nuova funzionalità sarà implementata nei dispositivi Android e iOS, e permette di impostare promemoria a orari stabiliti per arginare la visione compulsiva di video. È possibile anche decidere se il comando possa interrompere la visione di un video, oppure attendere che quest’ultimo sia finito. In ogni caso, una volta impostato, il promemoria non è “scolpito sulla pietra”, è sempre possibile ignorarlo o rimandarlo con il comando snooze.

Promuovere il benessere digitale degli utenti

L’iniziativa fa parte di un progetto più ampio promosso da YouTube , e volto a promuovere il benessere digitale degli utenti. L’impostazione si aggiunge infatti ad altre funzioni lanciate nel 2018 volte a limitare il tempo trascorso davanti allo schermo. Allora, erano stati introdotti una serie di strumenti per favorire una buona gestione del tempo speso online. Tra queste, la possibilità di impostare una pausa, con lo stop alla riproduzione dei video che scatta dopo un tempo prefissato tra i 15 minuti e le 2 ore. Da quando il set è stato introdotto, l’app ha invitato gli utenti a prendersi una pausa per più di tre miliardi di volte.

Trasporto aereo in picchiata, a marzo -85% passeggeri

Se la diffusione del Covid-19 ha fermato quasi completamente i trasporti, il comparto che ha subito il più forte impatto è il trasporto aereo di passeggeri. Nel solo mese di marzo 2020 i voli effettuati sono calati del 66,3% e il numero di passeggeri dell’85,1%, passati, secondo un rapporto dell’Istat sul settore aereo, da 13,988 milioni a poco più di 2,083 milioni.

“Benché i servizi per la mobilità delle persone e delle merci siano stati inclusi tra i settori economici e produttivi essenziali non sottoposti a sospensione delle attività – spiega l’Istituto di Statistica – i provvedimenti di contenimento dell’epidemia assunti dalle Autorità nazionali e internazionali hanno di fatto ridotto le possibilità di volare, limitandole a ragioni di lavoro, di salute o di assoluta necessità, prevedendo restrizioni all’ingresso e all’uscita in diversi Paesi e stabilendo la chiusura di alcuni aeroporti”.

Nel 2019 i passeggeri transitati in 39 scali italiani sono stati 193 milioni

I dati testimoniano la drammatica frenata del traffico passeggeri, un settore che per il 2020 a livello mondiale sembrava destinato a una crescita importante, mentre ora sta subendo una crisi globale. Nel 2017 nel settore del trasporto aereo di passeggeri e merci operavano in Italia 193 imprese, che hanno realizzato un fatturato di 9,4 miliardi di euro e occupato poco meno di 20 mila unità di lavoro, di cui il 99,7% sono lavoratori dipendenti. Nel 2019, i passeggeri transitati nei 39 scali italiani monitorati da Assaeroporti sono stati 193 milioni, ovvero 7,4 milioni in più rispetto all’anno precedente, pari al +4%, in linea con il trend positivo degli anni precedenti, anche se a un ritmo di crescita meno sostenuto rispetto al 2018 (+5,9%) e al 2017 (+6,4%).

L’emergenza Covid-19 ha interrotto l’evoluzione positiva del settore

Per il 2020 si attendeva una conferma del trend positivo del traffico aereo a livello mondiale. Anche per il nostro Paese i primi dati registrati nel mese di gennaio lasciavano ben sperare: gli oltre 12,5 milioni di passeggeri transitati negli aeroporti italiani rappresentavano un incremento del 4,1% rispetto al 2019, sostanzialmente lo stesso ritmo di crescita registrato per lo stesso mese dell’anno precedente (+4,9% dal 2018 al 2019). L’emergenza Covid-19 ha interrotto brutalmente l’evoluzione positiva del settore, precipitandolo in una drammatica crisi globale in un brevissimo intervallo di tempo e con proporzioni senza precedenti.

In cinque settimane si è passati da 459.709 passeggeri a 6.780

In sole cinque settimane si è passati dai 459.709 passeggeri in arrivo e in partenza di domenica 23 febbraio 2020, ai 6.780 di domenica 29 marzo.

Rispetto allo scorso anno, il bilancio del mese di marzo 2020 indica un calo del 66,3% di voli effettuati e dell’85,1% del numero di passeggeri. In particolare, i passeggeri trasportati nel mese di marzo sono passati da 4,9 milioni a meno di 748 mila per i voli nazionali, per quelli internazionali, che interessano circa il 64% dei passeggeri, questi sono passati da 9,0 milioni a 1,3 milioni, riporta Italpress.

 

Meno telemarketing e più investimenti in Tlc, lo chiede Federconsumatori

Stop alla portabilità, in fase di emergenza Covid-19 è necessario concentrarsi sul potenziamento dell’infrastruttura. È l’appello di Federconsumatori, l’associazione per l’informazione e la tutela di utenti e consumatori, secondo cui in questa fase emergenziale, anche di accessibilità, sarebbe opportuno un maggior focus sugli investimenti, mentre andrebbe fermato il telemarketing per le campagne di promozione della portabilità tra gli operatori di Telecomunicazioni. Secondo Federconsumatori, limitare l’attività dei call center e la rincorsa alle offerte promozionali oltre ad aiutare a contenere gli effetti del contagio permetterebbe agli operatori di concentrarsi sul potenziamento delle infrastrutture. L’associazione appoggia quindi l’emendamento al Decreto Cura Italia, che allo scopo di limitare i contagi propone infatti di sospendere le operazioni di portabilità di numeri fissi e mobili, e più in generale, la generazione di nuovi numeri che non siano in corso.

Realizzare nel più breve tempo possibile investimenti per potenziare le infrastrutture

Considerate le gravi difficoltà economiche, oltre che sanitarie, “in cui si sono venute a trovare le famiglie e moltissimi operatori economici – puntualizza l’associazione – siamo intervenuti su tutti i gestori di servizi fondamentali e delle reti di comunicazione per evitare il distaccamento per motivi di morosità”.

In queste settimane particolarmente delicate per l’emergenza che ha investito il Paese, riporta Askanews, secondo Federconsumatori è importante soprattutto che “gli operatori delle reti di comunicazione realizzino, nel più breve tempo possibile, investimenti necessari in direzione di una estensione e un potenziamento delle infrastrutture, per renderle accessibili e fruibili in tutte le aree del Paese e a tutti i cittadini”.

Fermare la forsennata rincorsa alle offerte promozionali

La proposta di emendamento al Decreto Cura Italia con cui si intende vietare portabilità e migrazioni nella telefonia sta facendo discutere, e le aziende della filiera e diverse associazioni non sono d’accordo. Federconsumatori, al contrario, si è mossa affinché, per il tempo limitato alla situazione di emergenza, si evitassero ingenti investimenti in campagne promozionali. “In una forsennata rincorsa – commenta l’associazione – a proporre offerte non sempre chiarissime e si arrestasse il telemarketing”.

Limitare la migrazione delle utenze tra gli operatori

“Perciò abbiamo salutato positivamente la proposta di limitare l’attività dei call center ai soli servizi di assistenza agli utenti – aggiunge l’associazione – e sospendere le attività di telemarketing o promozionali sia per ragioni di sicurezza degli operatori dei call center sia per evitare disturbo, e di aggiungere ansia al dolore che è piombato nella vita di noi tutti a causa della pandemia. Ci paiono perciò comprensibili le iniziative tese a limitare nel tempo strettamente legato allo stato di emergenza la migrazione delle utenze tra gli operatori – spiega ancora Federconsumatori – che così possono dedicarsi al potenziamento delle infrastrutture senza intaccare i diritti degli utenti e della concorrenza”.

L’Italia è 14a in Europa per gender gap

Con 63 punti su 100 l’Italia si colloca al 14° posto fra gli stati dell’Unione per disparità di genere. Questa è infatti la posizione del nostro Paese all’interno del Gender Equality Index 2019, l’Indice annuale di parità curato dall’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere. La buona notizia però è che il punteggio italiano, che risulta 4,4 punti sotto la media europea, è comunque salito di 3,8 punti tra il 2005 e il 2017. È quanto ha spiegato il Cnel nel corso di un’audizione alla Camera alla Commissione Lavoro della Camera, nell’ambito dell’esame delle proposte di legge sulle modifiche al codice delle pari opportunità tra uomo e donna.

“Non andiamo bene, ma andiamo meno peggio di altri”

Riguardo la disparità retributiva di genere “non andiamo bene, ma andiamo meno peggio di altri”, commenta il presidente del Cnel, Tiziano Treu, in audizione presso la Commissione Lavoro della Camera. Un dato positivo, spiega il Cnel, è che secondo l’Indice con 88,7 punti l’Italia registra la migliore performance di parità nel campo salute. Male invece le voci lavoro (63,1 punti) e raggiungimento di posizioni di vertice nella società (47,6 punti).

Nel settore conoscenza l’Italia invece registra, nei 12 anni presi in esame, una crescita di 7,1 punti, riporta Ansa.

Nel 2017 gli occupati maschi guadagnano il 7,4% rispetto alle donne

Nell’analisi presentata dal Cnel da un confronto tra gli ultimi dati Istat e quelli della Commissione Europea, entrambi relativi all’anno 2017, emerge che in Italia per gli occupati maschi la retribuzione oraria mediana è di 11,61 euro, superiore del 7,4% rispetto a quella delle donne, che si attesta sui 10,81 euro. Un trend, tuttavia. che risulta essere in calo rispetto all’8,8% registrato nel 2014. Questo, sottolinea il Cnel, per effetto di una maggiore crescita della retribuzione oraria mediana delle donne, salita del +2,4%, rispetto a quella maschile, cresciuta “solo” del +1%.

Un minore divario retributivo non significa che le donne siano pagate meglio

Si tratta di dati che consentono all’Italia di essere uno dei paesi Ue con il minore differenziale retributivo tra uomini e donne. Tanto che in Francia e in Spagna il differenziale è maggiore rispetto a quello italiano, così come in Germania, dove risulta anche più marcato. Tuttavia, come rilevato dalla Commissione europea, un minore divario retributivo di genere, in alcuni Paesi, non significa automaticamente che le donne siano pagate meglio. Un divario retributivo più basso spesso si verifica in Paesi caratterizzati da un tasso di occupazione femminile più basso. È proprio il caso dell’Italia, dove la differenza tra il tasso di occupazione maschile e quello femminile è il secondo più alto nella Ue, più che doppio rispetto a Germania e Francia. Per questo motivo il Cnel sottolinea come la questione fondamentale sia portare più donne sul mercato del lavoro.

Nel 2019 crolla la produzione industriale italiana

Nel 2019 crolla la produzione dell’industria, e con una riduzione dell’1,3% segna il calo peggiore dal 2014 e la maggior contrazione registrata dal 2013. Secondo l’Istat il calo nel 2019 è stato dell’1,3% in media rispetto al 2018, quando si era registrata una crescita dello 0,6%. Su base mensile a dicembre la produzione ha segnato -2,7% rispetto a novembre, il calo più forte da gennaio 2018, mentre nel quarto trimestre 2019 la flessione è dell’1,4%, la più marcata dal 2012. Su base annua la diminuzione registrata dall’Istat è del 4,3%.

La flessione, secondo l’Istat, è più marcata per i beni intermedi e meno per i beni strumentali. Tra i settori che hanno subìto le maggiori flessioni a livello annuale quello dell’auto (-13,9%), e tra quelli meno colpiti computer, prodotti di elettronica e ottica, industria alimentare, bevande e tabacco.

A dicembre -2,7% rispetto a novembre, e -4,3% su dicembre 2018

A dicembre il calo è stato ancora maggiore: -2,7% rispetto a novembre e -4,3% su dicembre 2018. Il calo tendenziale del 4,3% è il peggiore da dicembre 2018, quando segnò un -5,7%, mentre la diminuzione congiunturale del 2,7% è la più bassa da gennaio 2018 (-3,2%). Male anche il quarto trimestre, che ha evidenziato una diminuzione dell’1,4%. In forte calo, lo scorso anno, anche la produzione auto, scesa del 13,9%, la diminuzione più marcata dal 2012. Mentre a dicembre 2019 la produzione di autoveicoli è diminuita dell’8,6%.

“Considerando l’evoluzione congiunturale dello scorso anno, si è registrato un aumento solo nel primo trimestre (al netto dei fattori stagionali), mentre nei successivi si sono avute continue flessioni, con un calo più marcato negli ultimi tre mesi dell’anno”, spiega l’istituto di statistica, riporta AGI.

Su base mensile marcate diminuzioni congiunturali in tutti i comparti

Nel complesso, nel quarto trimestre il livello della produzione registra una flessione dell’1,4% rispetto ai tre mesi precedenti. L’indice destagionalizzato mensile mostra marcate diminuzioni congiunturali in tutti i comparti, con variazioni negative che segnano i beni intermedi (-2,8%), l’energia e i beni di consumo (-2,5% per entrambi i raggruppamenti) e i beni strumentali (-2,3%), riporta Adnkronos. Su base tendenziale e al netto degli effetti di calendario, a dicembre 2019 si registrano accentuate diminuzioni per i beni intermedi (-6,6%), l’energia (-6,0%) e i beni strumentali (-4,7%). Un decremento più contenuto si osserva per i beni di consumo (-0,8%).

Incrementi tendenziali solo per computer, prodotti di elettronica, industria alimentare

I soli settori di attività economica che registrano incrementi tendenziali sono la fabbricazione di computer, prodotti di elettronica e ottica (+5,3%), l’industria alimentare, bevande e tabacco (+2,9%) e le altre industrie (+1,1%). Tra i rimanenti settori le maggiori flessioni si registrano nelle industrie (-10,4%), nella fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (-9,3%) e nella fabbricazione di macchinari e attrezzature n.c.a. (-7,7%).

Pagare in contanti, si abbassa il limite a 2.000 euro

Ridurre l’uso del denaro contante per tracciare le transazioni. Questo è il motivo per cui la soglia per i pagamenti in contanti torna ad essere abbassata, con l’obiettivo di riportarla ai limiti del 2011. Ovvero, a 999,99 euro. Dal primo luglio 2020 scatta infatti il nuovo limite ai pagamenti in contanti, che inizialmente scenderanno da 3mila a 2mila euro, per poi essere nuovamente abbassato a 999.99 euro nel 2022. È una delle novità della manovra economica 2020 per limitare l’utilizzo del contante e tentare di ridurre l’evasione fiscale. Tanto che con la nuova limitazione dell’utilizzo del denaro contante verrà aggiornata anche l’esistente normativa antiriciclaggio.

In origine il limite era fissato a 999,99 euro

Originariamente, il limite per i pagamenti in contanti in Italia era fissato a 999,99 euro, come stabilito dalla direttiva del 13 agosto 2011. Tale limite era valido sia per i contanti sia per i pagamenti tramite gli assegni, ma anche per i libretti di deposito al portatore e di titoli al portatore. Con il governo Renzi il limite venne successivamente innalzato fino a portarlo agli attuali 3mila euro. A eccezione dei money transfer e degli assegni, per i quali la soglia è sempre rimasta a 999,99 euro.

Una riduzione progressiva per tornare alla soglia del 2011

Con la nuova legge di bilancio verrà introdotta quindi una riduzione progressiva a scaglioni, che nel giro di due anni riporterà il limite a 999,99. Per la precisione il prossimo primo luglio scatterò il primo step con l’abbassamento da 2999,99 euro a 1999,99 euro, mentre a partire dal primo gennaio 2022 partirà il secondo step con il ritorno ai livelli del 2011. Queste scadenze tuttavia sono ancora da confermare e sono suscettibili dei cambiamenti politici che potrebbero avvenire nei prossimi mesi.

Anche prestiti e donazioni sottoposti alla misura

Il nuovo limite al contante sarà valido anche per i trasferimenti di denaro intesi come donazioni o come prestiti fra parenti. Se un genitore vuole ad esempio dare 5mila euro al proprio figlio non potrà farlo in contanti, ma attraverso bonifico o assegno non trasferibile. Se una persone dovesse contravvenire alla nuova norma potrà incorrere in una sanzione pecuniaria che va dai 3mila ai 50mila euro, a seconda ovviamente della quantità di denaro trasferito illegalmente. In questo caso inoltre, la pena graverà su entrambe le parti della transazione finanziaria, ovvero sia su chi invia il denaro sia su chi lo riceve.

Un’impresa su tre utilizza misure per la cybersecurity

Il 92,9% delle imprese italiane con almeno 10 addetti adotta almeno una misura di cybersecurity. Il comportamento delle imprese di minore dimensione determina la diffusione soprattutto di misure di sicurezza meno sofisticate, come l’aggiornamento del software (89,5%), l’autenticazione con password (82,2%) e il back-up dei dati (79,2%). Al contrario, le misure più sofisticate sono utilizzate da una quota esigua di imprese. Lo rileva l’Istat nel Report 2019 su Imprese e Ict, spiegando che le imprese che adottano misure di sicurezza avanzate, come quelle per l’analisi degli incidenti di sicurezza, ad esempio, la conservazione dei file di registro (40,6%), o preventive, come le pratiche di valutazione del rischio e l’esecuzione periodica di test di sicurezza dei sistemi (circa 33%), sono i quantità minore.

L’accesso alla rete espone a possibili attacchi o intrusioni dall’esterno

L’accesso alla rete e l’utilizzo di strumenti informatici e applicazioni espongono le imprese a possibili attacchi o intrusioni dall’esterno. Nel 2019, infatti, il 10,1% delle imprese con almeno 10 addetti (il 21,7% nel caso delle imprese con almeno 250 addetti) ha dichiarato di aver avuto nel corso dell’anno precedente almeno uno di questi problemi, spiega l’Istat. Tra le misure di sicurezza più sofisticate solo il 4,5% utilizza metodi biometrici per l’identificazione e l’autenticazione dell’utente, come riconoscimento del viso, della voce o delle impronte digitali, il 20,4% utilizza la crittografia per dati, documenti o email, riporta Ansa.

Il 69,1% delle imprese Tlc adottano documenti sulla sicurezza

Il 34,4% delle imprese, inoltre, dispone di documenti relativi a misure, pratiche o procedure connesse alla sicurezza informatica che riguardano, ad esempio, la formazione degli addetti sull’uso sicuro degli strumenti informatici, o la valutazione delle misure di sicurezza adottate. Di queste imprese l’80,7% ha definito o aggiornato tali documenti negli ultimi 12 mesi. A livello settoriale, le imprese delle telecomunicazioni hanno adottato documenti sulla sicurezza nel 69,1% dei casi, a cui seguono quelle dell’informatica (65,0%) e delle attività editoriali (53,1%), mentre in coda si posizionano le imprese dei servizi postali e attività di corriere (13,7%) e della ristorazione (14,9%).

Le aree connesse alla gestione dei dati di accesso le più trattate

Nei documenti sulla sicurezza informatica adottati dalle imprese vengono trattate maggiormente le aree connesse alla gestione dei dati di accesso per l’utilizzo degli strumenti informatici (91,2%), seguono le misure per il trattamento dei dati (94,8%) e la responsabilità degli addetti nell’ambito dell’utilizzo di strumenti, quali, ad esempio, email, social media, dispositivi mobili (84,6%).

Il 13,0% delle imprese con almeno 10 addetti (31,3% delle grandi imprese) ha dichiarato invece di essersi assicurato contro incidenti connessi alla sicurezza ICT.

 

Studenti fumatori, nel 2018 il 56,9% ha provato almeno una volta

Nel 2018 il 56,9% degli studenti, circa un milione e mezzo, hanno provato il fumo di una sigaretta almeno una volta nella vita. E sebbene dal 2000 l’andamento sia in calo costante, erano il 67,5%, la prevalenza dei fumatori oggi aumenta con l’età, mentre per quanto riguarda il genere, dopo i 16 anni sono le femmine a mostrare quote più alte dei coetanei. Dopo la riduzione registrata nel 2011 la forbice torna infatti ad ampliarsi nel 2018, con il 55,9% delle ragazze contro il 58,0% dei maschi.

Si tratta dei risultati della ricerca ESPAD Italia condotta dall’Istituto di fisiologia clinica del Cnr.

Nell’ultimo anno il 40,8% dei ragazzi fuma

Nell’ultima rilevazione ESPAD Italia la prevalenza degli studenti fumatori si attesta al 40,8%, ovvero quasi 1 milione e 100 mila studenti, sempre con le femmine generalmente in quote più alte. Considerando invece il fumo di almeno una sigaretta al giorno sono circa 600 mila gli studenti, pari al 21.7% degli intervistati, il valore più basso rilevato nel periodo 2004-2018.

Nel corso degli anni si abbassa poi considerevolmente la percentuale degli studenti italiani che descrive come “molto facile” il reperimento di sigarette, passati dall’83,3% nel 1999 al 46,3% nel 2017, anche se in modo speculare cresce la valutazione di “abbastanza facile”, passata dal 10% (2002-2004) al 23% (2016-2017).

Meno consumo di sigarette, ma aumenta la quota di quanti provano la sigaretta elettronica

Le rilevazioni ESPAD Italia hanno registrato tra il 1999 e il 2018 che il consumo di nicotina inizia generalmente in età adolescenziale. Cresce infatti nel tempo la tendenza a provare la sigaretta oltre i 15 anni, ma le percentuali più alte (oltre un quarto) sono quelle di chi ha avuto la prima esperienza di fumo a 14 anni, e 100 mila studenti hanno provato addirittura prima dei 12 anni.

Se il consumo di sigarette mostra un trend in continua discesa, contestualmente cresce però in maniera costante la quota di quanti riferiscono di aver provato la sigaretta elettronica (e-cig) almeno una volta nella vita, dal 33% nel 2013 al 37,9% nel 2018, corrispondente a circa un milione di studenti.

Divieto ai minorenni, in 200mila lo ignorano

Nel 2018 gli studenti che hanno riferito una duplice abitudine al fumo (sigarette ed e-cig) sono oltre 650 mila (25,2%). La ricerca ha rilevato anche altre forme di consumo del tabacco, come l’uso di pipa ad acqua (5,6% ), tabacco da sniffo o da fiuto (3,3%) e sigarette senza combustione, le Heat Not Burn (HNB), commercializzate in Italia come IQOS (I Quit Ordinary Smoking), che hanno conquistato 130 mila adolescenti (5%). Sebbene nel 2018 il 70,4% degli studenti fosse consapevole del divieto di fumo ai minorenni, 200 mila di loro lo ignoravano oppure ritenevano valesse solo fino a 14 o 16 anni.

La diversità in azienda? A sorpresa, è ancora una questione di genere

Anche nel 2019, la diversità sul posto di lavoro è connessa al genere. Per dirla piatta, al fatto di essere uomini o donne. Sembra impossibile, eppure è proprio così: a dirlo è InfoJobs, piattaforma specializzata nella ricerca di lavoro online, che ha presentato una ricerca condotta su aziende e candidati sul tema lavoro e diversity. In particolare, la società – che conta 5,4 milioni di utenti registrati e oltre 5.000 aziende attive nel 2018 ed è quindi un osservatorio privilegiato e attendibile – ha chiesto ai candidati cosa fosse per loro la diversity in azienda e come venga vissuta, mentre alle aziende e agli Hr ha chiesto non solo che politiche vengano messe in atto, ma anche se e come la diversity venga considerata in fase di recruiting.

Pari opportunità? La strada è ancora lunga

Alla domanda “cosa è la diversity”, ben il 71% degli intervistati ha dichiarato che la diversità è una questione di genere. A grandissima distanza seguono altre motivazioni come la nazionalità (23%), l’orientamento sessuale (6%), il colore della pelle (4%) e il credo religioso (3%). “Nonostante una popolazione lavorativa al 42,1% femminile e un campione di oltre 1.300 rispondenti di età compresa tra i 26 e i 55 anni ed equamente diviso tra uomini e donne, per i candidati il tema più sentito è quello delle pari opportunità. La strada da fare è ancora lunga, per questo è importante per noi come osservatorio dare il nostro contributo per stimolare il dibattito e la riflessione su un tema chiave come questo” ha commentato Filippo Saini, head of job di InfoJobs.

Come ti senti al lavoro?

Alla domanda se ci si è mai sentiti “diversi” sul posto di lavoro, il 52% dei rispondenti ha detto sì, sebbene si sia trattato di episodi isolati nel 34% dei casi. Non è un dato percentualmente alto anche quel 16% che afferma di di non sentirsi diverso perché l’ambiente in cui lavora è inclusivo e valorizza la diversità. A molti è poi capitato di assistere a episodi discriminatori: il 33,5%, mentre un altro 60% dice di non avervi mai assistito.

Il sentiment sulla diversità in azienda

La diversità viene vissuta bene nel 30% dei casi, o perché ci sono politiche specifiche di inclusione (18%), oppure perché, anche in assenza di politiche specifiche, l’azienda valorizza la diversità (12%). Male per il 23%, perché ci sono politiche che vengono ignorate (12%) oppure per discriminazione vera e propria (11%). Spopola però il sentimento di indifferenza:  per il 47% non ci si presta attenzione, nel bene e nel male. L’88% dei candidati dichiara di sapere cosa sia il diversity management, ma per il 52% significa trattare tutti allo stesso modo, mentre solo per il 36% significa valorizzare le differenze. Sono ancora relativamente poche le figure che seguono la diversity management: il 20% delle aziende ha una persona che se ne occupa, però il 13% sta lavorando per crearla, mentre il 24,5% dichiara di non averlo in piano ma che ce ne sarebbe bisogno.