Author Archives: Tommaso Poggibonsi

Un anno di Covid, come sono cambiati i consumi in Italia

Tutto è iniziato il 21 febbraio 2020, quanto il purtroppo celebre il “paziente 1” venne ricoverato all’ospedale di Codogno. Da quel giorno, il virus ha iniziato a circolare nel nostro Paese e a distanza di oltre 12 mesi non se ne è ancora andato. Anche se oggi esistono un’infinità di armi in più per contrastare il nemico invisibile, resta il fatto che le nostre esistenze hanno necessariamente subito degli scossoni, costringendoci a cambiare stile di vita e abitudini. Ha fotografato questo strano periodo la ricerca “Eurispes, indagine: un anno di Covid in Italia” che ha analizzato i cambiamenti in atto nel vari settori della società. Condotta su 2.063 cittadini, rappresentativi della popolazione italiana, la ricerca è stata realizzata nel periodo compreso tra novembre 2020 e gennaio 2021. Dalla casa – diventata il centro di tutto – ai consumi, dal rapporto con gli altri e al ruolo del personale medico fino alla portata della Rete, la survey è ricca di spunti interessanti. Vediamone alcuni.

Nuove modalità di consumo

Il 21,9% degli italiani afferma di aver ordinato per la prima volta la spesa a domicilio dopo marzo 2020, ovvero dopo l’esplosione della pandemia da Covid-19. L’abitudine di ordinare la cena o altri pasti a domicilio era già abbastanza diffusa (il 28,6% lo faceva anche prima della pandemia), ma da marzo il 16,8% lo ha fatto per la prima volta. Il 13,1% ha ordinato per la prima volta farmaci a domicilio.

La tecnologia entra in casa

Gli strumenti tecnologici a supporto della comunicazione, già molto diffusi, sono diventati vitali: il 45,2% degli intervistati era già solito comunicare con amici/parenti tramite videochiamata; con la diffusione del virus quasi un terzo lo ha fatto per la prima volta (30,7%).  Il 13,4% degli italiani ha acquistato un abbonamento a piattaforme streaming (il 36,3% già lo aveva). E infine la decisione di acquistare/noleggiare strumenti per fitness domestico ha riguardato una quota non trascurabile del 14% (il 12,2% ne era già in possesso). Eppure, l’e-commerce resta una modalità sconosciuta per tre italiani su dieci, specie fra i cittadini più anziani. D’altra parte, con divese intensità, fare acquisti online sta diventando per molti una consuetudine: il 18,2% del campione fa acquisti online raramente, il 25,9% qualche volta, mentre il 16,3% spesso ed il 10,5% abitualmente. Gli over 64 sono l’unica fascia d’età nella quale prevalgono coloro che non fanno mai acquisti attraverso la Rete (59%).

Abitudini cambiate e non più abbandonate

Oltre un italiano su 4 (25,9%) continua ad ordinare la spesa a domicilio anche dopo la fine del lockdown primaverile, l’8,7% con la stessa frequenza, il 17,2% con minor frequenza. L’ordinazione di farmaci a domicilio continua ad essere utilizzata dal 16,4% degli intervistati (il 10,2% con minor frequenza), mentre il 9,8% ha smesso dopo il lockdown. Il 37,2% degli italiani continua ad ordinare pasti a domicilio, il 14,5% con la stessa frequenza del periodo del lockdown, il 22,7% meno spesso. Il 66,1% continua a videochiamare amici e parenti, il 31,5% con la stessa frequenza, il 34,6% meno spesso rispetto ai mesi della chiusura totale.

In Europa migliora la parità, ma non nelle aziende: solo 6% donne capo

Qualcosa si muove in Europa per l’uguaglianza di genere, ma la strada obiettivamente è ancora lunga, visto che sono appena 42 le società dell’indice di borsa STOXX Europe 600 con a capo una donna (il 6%), e solamente 130 (19%) le realtà in cui è presente una donna a ricoprire almeno una funzione tra ceo o coo. È quanto emerge dall’indice di Gender Diversity in Europa, lo studio europeo rilasciato da EWOB, l’associazione no profit European Women on Boards, di cui Valore D è membro, che ogni anno analizza la rappresentanza di genere nei consigli di amministrazione e nei vertici aziendali delle 668 più grandi società europee.

Italia al sesto posto nell’indice di Gender Diversity

Le cose possono cambiare, come ha detto il neo presidente degli Stati Uniti d’America Joe Biden alla cerimonia d’insediamento della presidenza americana rivolta a Kamala Harris, la prima donna alla carica di vicepresidente. Ma in Europa la strada è appunto ancora lunga, anche se la lettura dell’indice ha qualche risvolto incoraggiante.  L’Italia occupa infatti al sesto posto nell’indice di Gender Diversity tra i paesi europei esaminati, con il 37% di donne nei cda, il 22% di donne a capo di un cda e il 45% delle donne a capo dei comitati di controllo, parametro per cui l’Italia è in testa alla classifica. Al top dell’indice si trovano Norvegia, Francia, Gran Bretagna, Finlandia e Svezia.

Solo il 17% le donne italiane presenti nei livelli esecutivi

Allo stesso tempo fuori dei consigli di amministrazione, il nostro paese è ancora lontano dall’essere bilanciato, infatti la percentuale di donne nei livelli esecutivi è solo del 17% contro il 33% della Norvegia e il 25% degli UK. Inoltre, in Italia solo il 4% delle donne sono ceo contro il 21% della Norvegia, o il 15% dell’Irlanda. Le prime cinque aziende in classifica, poi, sono inglesi e svedesi, e le prime tre sono accomunate da una leadership perfettamente equilibrata (Gender diversity index = 1). Al top, riporta Ansa, c’è l’inglese Assura, seconda la svedese Wihlborgs Fastigheter, terza l’inglese Grainger, quarte e quinte le svedesi Kinnevic B e Sweco B.

Cultura politica e aziendale dominante alla base della sotto rappresentanza femminile

I dati 2020 sono però da inquadrare in un periodo, come è noto, molto difficile. Oltre alle conseguenze dirette sulla salute la pandemia ha danneggiato il benessere e la conciliazione vita-lavoro di molti lavoratori. Allo stesso tempo, il 2020 è stato un anno di movimenti sociali e proteste che chiedono proprio di affrontare i divari.  Secondo la UE però la sotto rappresentanza femminile nei processi e ruoli decisionali dipende essenzialmente dalla perpetuazione di stereotipi di genere, dalla mancanza di un adeguato supporto a donne e uomini per un corretto bilanciamento tra le responsabilità familiari e lavorative, nonché dalla cultura politica e aziendale dominante nelle società, riferisce Il Mattino.

Pil italiano, +5,6% nel 2021. Si tornerà a livelli pre-crisi nel 2022

Nel 2021 il Pil italiano tornerà a crescere, ma i livelli pre-Covid si raggiungeranno solo nel 2022. A quanto prevede l’agenzia di rating Moody,s dopo il -9% del 2020 nel 2021 l’economia dell’Italia crescerà del 5,6%. Per quanto riguarda la ripresa economica in Europa l’Agenzia prevede che “sarà lenta, irregolare e fragile”, e nel 2021, dopo la contrazione del 7,7% del 2020, Moody,s prevede che il Pil europeo crescerà al +4,6%. Solo la Lituania, secondo Moody’s, tornerà ai livelli pre-crisi durante l’anno appena iniziato, mentre Italia, Francia e Spagna “impiegheranno almeno fino al 2022” per tornare ai livelli pre-crisi. Per tutti gli altri Paesi l’Agenzia sostiene che i rischi “rimangano elevati e volti al ribasso”, a causa degli “sviluppi incerti della pandemia e le potenziali azioni dei governi”, costretti in molti casi a reintrodurre le restrizioni, che verranno mantenute sicuramente fino ai primi mesi di quest’anno.

Italia e Spagna particolarmente esposte alle restrizioni dei governi

“Italia e Spagna – rileva ancora l’Agenzia – sono particolarmente esposte alle restrizioni interne”, perché hanno economie molto dipendenti dal settore dei servizi. In particolare, continueranno a risentire del minor afflusso di turisti. Sempre secondo Moody’s, è improbabile che la domanda di turismo internazionale torni ad avvicinarsi ai livelli precedenti, “fino a quando un vaccino efficace non sarà largamente in circolazione o non si avrà un trattamento che ridurrà significativamente i decessi”.

Un maggior rischio di credito in caso di nuovi shock all’economia

Inoltre, se Italia, Francia e Spagna registreranno dei tassi di crescita più elevati nel 2021 ciò riflette in gran parte un rimbalzo “meccanico” dopo le notevoli contrazioni dello scorso anno e la loro produzione rimarrà ben al di sotto dei livelli pre-crisi, riporta Agi. L’Italia, insieme a Spagna, Portogallo e Cipro, è tra i Paesi europei considerati dall’agenzia di rating a maggior rischio di credito in caso di nuovi shock all’economia.

“I rischi maggiori per il credito – si legge nel report di Moody’s – sono in Italia, Cipro, Spagna e Portogallo data la loro elevata esposizione economica alla crisi e il loro più limitato spazio fiscale”.

La Bce continuerà a svolgere un ruolo cruciale nel sostenere la fiducia degli investitori

Tuttavia, questi rischi sono mitigati dall’impegno della Banca centrale europea a fare tutto il necessario per fornire sostegno all’economia e aiutarla a superare la crisi innescata dalla pandemia. La Bce, secondo Moody’s, “continuerà a svolgere un ruolo cruciale nel sostenere la fiducia degli investitori e nel mantenere bassi i costi di rifinanziamento”.

Gli italiani e la salute del futuro, più presidiata e digitale

La pandemia ha avuto un impatto notevole sulla percezione del valore della salute da parte degli italiani. Se prima dell’emergenza sanitaria il 66% dichiarava che la salute fosse la cosa più importante nel corso del 2020 questo dato è cresciuto costantemente. E se a settembre a mettere la salute al primo posto era il 72% degli italiani a novembre la percentuale è salita al 78%. Inoltre, a essere cresciuta è anche l’attenzione alla salute in generale, con l’81% degli italiani d’accordo nell’affermare che la prevenzione sia la cura migliore. È quanto emerge dall’indagine Next Generation Health: le priorità degli Italiani per la sanità del futuro, realizzata da Doxa Pharma per Janssen Italia, l’azienda farmaceutica del Gruppo Johnson & Johnson.

Si a prescrizioni e visite digitali

A fronte di una più complicata accessibilità ai servizi sanitari, la quasi totalità degli italiani (92%) ha sperimentato la ricezione delle prescrizioni mediche per via telematica. Allo stesso tempo, più di 6 cittadini su 10 esprimono elevata propensione circa il ricorso in futuro a modi diversi di relazionarsi con i clinici, consapevoli che la visita a distanza comporti diversi vantaggi, tra cui il minor tempo perso in attesa della visita (61%), minori rischi legati alla necessità di uscire di casa (57%) e minori costi per spostamenti e trasporti (54%). Allo stesso modo, il 90% degli italiani ritiene in generale che il canale digitale sia diventato imprescindibile, soprattutto per la diagnostica e per facilitare la relazione medico-paziente, con il 76% favorevole a visite mediche da remoto anche per il futuro, pur in assenza di situazioni complesse come quella che stiamo vivendo

Il Ssn e l’offerta sanitaria

L’emergenza Covid-19 ha però messo in luce anche le criticità del Ssn, facendo emergere la necessità di ripensare l’organizzazione dell’offerta sanitaria nel nostro Paese. I bisogni e le aspettative degli italiani sono un punto di partenza irrinunciabile nel tentativo di disegnare le possibili direttrici di una Sanità più moderna, sostenibile e vicina ai cittadini. Innanzitutto, la certezza da cui ripartire è conferma del valore del modello universalistico del Ssn italiano, molto apprezzato da oltre l’86% dei cittadini. Dalla ricerca emerge poi che l’area che richiederebbe un intervento immediato è la prenotazione e la gestione delle visite, che proprio durante i mesi del lockdown hanno subito un netto rallentamento.

Come migliorare la sanità?

Gli italiani hanno espresso chiaramente gli ambiti su cui intervenire per ridisegnare la sanità del futuro, con il 92% che si dichiara favorevole a presidi territoriali multi-specialistici, in modo da evitare di dover sempre ricorrere all’ospedale, e con il 72% che apprezzerebbe la domiciliazione delle terapie. Rimane comunque forte il ruolo di presidio territoriale delle farmacie, e il conseguente ruolo di consulente svolto dal farmacista. Per quanto riguarda la richiesta di maggiore uniformità dell’offerta sanitaria l’86% degli intervistati ritiene che debba essere uguale per tutti, a prescindere dalla regione di appartenenza.

I segreti della Danish Way per crescere figli felici

Secondo il World Happiness Report i danesi sono uno dei popoli più felici al mondo. Ma qual è il segreto della Danish Way per la felicità? Innanzitutto, no al genitore autoritario, si a giocare con i bambini, anche a costo di rinunciare a qualche impegno. Ma è in cucina che si può carpire uno dei segreti del metodo danese per crescere figli sereni, socievoli e con una buona dose di autostima. Per i danesi infatti cucinare e fare la spesa non sono più faccende riservate agli adulti, ma occasioni per giocare insieme ai figli a scopo educativo.

Le attività quotidiane sono il palcoscenico perfetto per i giochi

Perché allora non approfittare di un’attività quotidiana come cucinare per trasformarla in un’occasione educativa alla “danese”? Ne sono convinte Jessica Joelle Alexander, psicologa e giornalista americana trasferita in Danimarca, autrice di bestseller sul metodo danese, e Camilla Semlov Andersson, esperta della Danish Way. “Con i figli l’autorità non vale, non servono sermoni e ultimatum, gli ingredienti per crescerli sereni e fiduciosi è fare squadra”, spiegano le esperte nel manuale Il metodo danese per giocare con tuo figlio, edito da Newton Compton.

Il gioco non strutturato, libero, è poi lo strumento migliore per rendere i figli adulti più felici ed equilibrati, e le attività quotidiane sono il palcoscenico perfetto per giochi divertenti ed efficaci.

La cucina è il luogo più intimo della casa

Qual è allora e il luogo “intimo” per eccellenza dove nutrire le emozioni dei figli? Non la loro cameretta, né la sala, seduti tutti insieme davanti alla TV, ma la cucina, che riunisce la famiglia in modo attivo e affettuoso. Il percorso educativo danese completo però inizia dal supermercato, dove scegliere insieme ai più piccoli gli ingredienti delle ricette da sperimentare. I più grandi invece possono andare al supermercato da soli e acquistare gli ingredienti delle ricette prescelte. Ai pre-adolescenti, consigliano le autrici, è bene lasciare una sera a settimana affinché cucinino da soli per tutta la famiglia. L’intento è di dare forza al senso di autonomia, facendolo in modo affettuoso, emozionante perché condiviso tutti insieme intorno alla tavola.

Bandire telefoni e tablet da tavola e sala da pranzo

Perché la Danish Way sia efficace la tavola o la sala da pranzo però devono essere phone-free. Più che una zona franca “un luogo sacro”, come la definiscono i danesi, dove telefoni e tablet sono banditi. Inoltre, è importante tenere conto degli impegni e della stanchezza degli adulti: per giocare ci vuole l’attitudine giusta, perché nel gioco anche i genitori devono partecipare, essere presenti e responsabili della comunicazione. Prima di cominciare è bene perciò rispondere ad alcune domande: quale è il mio stato d’animo? E quello di mio figlio? Questo è il momento giusto per noi? Per non sbagliare il segreto è uno solo, quello di mettersi sempre nei panni dei figli.

Il Superbonus al 110% piace agli italiani: 9 milioni di famiglie vogliono utilizzarlo

 

Migliorare l’efficientamento energetico della propria abitazione senza dover pagare un euro: ecco cosa è possibile fare con il Superbonus al 110%, l’agevolazione prevista dal Decreto Rilancio. Nel dettaglio, questa misura consente di portare fino al 110% l’aliquota di detrazione delle spese per alcuni specifici interventi di efficientamento energetico degli immobili o adeguamento sismico effettuati tra 1° luglio 2020 e il 31 dicembre 2021. Insomma, un indubbio vantaggio tanto che quasi 1 italiano su 2 pensa di usufruirne, per un totale di 21 milioni di persone e circa 9 milioni di famiglie. A “dare i numeri” è una recente indagine condotta per Facile.it da mUp Research e Norstat su un campione rappresentativo della popolazione nazionale.

Per quali immobili sarà utilizzato

La ricerca ha anche esaminato quali saranno gli ambiti di intervento per cui gli italiani utilizzeranno il Superbonus. Circa il 55%, tra quanti hanno dichiarato di voler usufruire del bonus, lo faranno per il condominio in cui risiedono, mentre il 29,3%, pari a più di 6.250.000 individui, lo utilizzerà per la casa unifamiliare di residenza. Questa percentuale aumenta fino a raggiungere il 32,1% per gli abitanti del Sud e delle isole, mentre c’è anche una quota considerevole, circa 2 milioni di persone, che vorrebbero utilizzare questa opportunità per le seconde case, siano esse un immobile unifamiliare o parte di un condominio.

Le tipologie di intervento
Per poter avere accesso al Superbonus, occorre effettuare una o tutte delle tre tipologie di interventi definiti “trainanti”: i lavori di isolamento termico delle superfici, quelli di sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale esistenti e quelli antisismici e di riduzione del rischio sismico. I primi due tipi di interventi “trainanti”, destinati cioè alla riqualificazione energetica, danno la possibilità ai singoli proprietari di estendere il bonus 110% anche ad alcuni interventi minori “trainati”, come ad esempio la sostituzione degli infissi, l’installazione di impianti solari fotovoltaici e di infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici. Complessivamente, i lavori trainanti e trainati devono far sì che l’edificio migliori di almeno due classi energetiche. Ma quali interventi sono i più scelti dagli italiani? Il 58,2% del campione afferma che vi ricorrerà per l’intervento di isolamento termico (cappotto termico), percentuale che sale fino al 63,4% tra i residenti del Sud e delle isole. Sempre tra chi pensa di utilizzare l’agevolazione, più di 7.300.000 (34,7%) italiani hanno intenzione di sostituire l’impianto di climatizzazione invernale esistente con impianti centralizzati per il riscaldamento, raffreddamento o fornitura di acqua calda sanitaria a condensazione, mentre il 7,1%, vale a dire più di 1,5 milioni di individui, si dedicherà all’implementazione di misure antisismiche

Laser industriali tra innovazione e necessità di mercato

Grazie ai laser industriali oggi siamo in grado di raggiungere i risultati che sino a pochi anni fa  parevano difficili da potersi concretizzare. Tali strumenti vengono adoperati in svariati settori che vanno da quello medico-estetico a quello aerospaziale, dalle automotive al campo militare, e per questo oggi i laser di tipo industriale rivestono un ruolo fondamentale in ambito produttivo.

Il motivo per il quale sono così numerose le aziende che decidono di far ricorso al laser produttivo è facilmente intuibile se si pensa ai grandi vantaggi che questo tipo di strumento è in grado di dare rispetto quello che può essere un taglio di tipo manuale, ad esempio.

I vantaggi del laser industriale
Un laser industriale è infatti in grado di garantire grandissima precisione nel taglio nella curvatura ma anche nella saldatura e nella marcatura dei materiali, con un livello di precisione che difficilmente è ottenibile con altri metodi o con azioni di tipo manuale da parte di un operatore. Vi è inoltre un vantaggio non indifferente a livello economico, in quanto vi è chiaramente minore necessità di manodopera ed un minor numero di ore lavorative per riuscire a produrre il numero di pezzi del quale sia bisogno.

Questa è dunque la soluzione perfetta e che oggi consente concretamente alle aziende di ogni settore di rispondere in maniera efficace a quelle che sono le richieste di mercato e alla necessità di produrre ed inviare al cliente finale i pezzi rapidamente.

Una soluzione che nasce dalle esigenze di mercato

Infatti, proprio dalla necessità di rispondere in maniera efficace alle pressioni da parte del cliente finale (i quali non sono più soliti fare grandi ordinativi nel corso dell’anno ma preferiscono invece fare piccoli quantitativi ripetuti periodicamente) nasce la necessità di adottare tale soluzione riuscendo così a soddisfare questa utenza per adattarsi a quelle che sono le nuove esigenze di mercato.

Ecco dunque spiegati quelli che sono i motivi per i quali sempre più aziende decidono di iniziare a sfruttare laser industriali e migliorare così la qualità della propria produzione.

Instagram, l’impatto del Covid su food e travel influencer

Tra stories, foto e dirette su Instagram i settori del travel e del food durante e dopo la pandemia hanno vissuto picchi e crolli vertiginosi. Se i food influencer tra maggio e agosto 2020 hanno visto un’impennata del proprio engagement, con 17,7 milioni di interazioni, +32% rispetto allo stesso periodo del 2019, i travel influencer hanno registrato un andamento completamente inverso, con interazioni ridotte del 15,7%, passando in termini assoluti da 23,5 milioni nel 2019 a poco meno di 20 milioni nel 2020. Lo ha scoperto Influencer Italia Travel & Food, Analisi dell’impatto del COVID19, la ricerca realizzata da Extreme, l’azienda italiana specializzata nella web e social media data intelligence.

Ad agosto 2020 -14% travel influencer e -5,4% food influencer

Extreme ha analizzato l’attività su Instagram di 600 influencer italiani specializzati nel settore travel e nel food, confrontando il periodo compreso tra i mesi di maggio/agosto del 2019 e del 2020. Da una prima comparazione la ricerca evidenzia come il numero degli influencer attivi ad agosto 2019 e 2020 abbia registrato un calo del 14% nel settore travel e solo del 5,4% nel settore food. Pur tenendo conto della normale decrescita fisiologica di soggetti che abbandonano un’attività sempre più affollata e competitiva, la forte contrazione del settore travel racconta una sofferenza generale vissuta dal comparto turistico in questi mesi come conseguenza diretta della pandemia.

Un andamento confermato anche dall’attività dei follower

“Misurando la media dei follower attivi per influencer si nota come il settore food abbia avuto un’interessante crescita nell’anno del Covid – spiega Riccardo Di Marcantonio, ceo di Extreme – se infatti tra maggio e agosto 2019 la crescita media era stata del 3,21%, nello stesso periodo del 2020 ha raggiunto il 5,1%. Se inoltre si considera l’andamento totale dei follower degli account Instagram si rileva come la crescita nel comparto food sia stata pari al 18,8%”.

Insomma, se il food ha svuotato i supermercati non si può dire la stessa cosa per le valigie vuote dei travel influencer, il cui tasso di crescita medio dei follower per influencer nell’anno del Covid19 si è fermato ad 1,76%, contro il 2,38% del 2019.

Ridimensionamento degli hashtag come #ad #adv #sponsoredby #supplied

Per quanto riguarda il numero dei post pubblicati, Extreme segnala una riduzione in entrambi i settori. Tuttavia mentre quella dei food influencer appare più contenuta, con 14.080 post del 2020, contro i 16.114 del 2019 (-12,6%), per i viaggiatori il decremento è stato più significativo, pari al 24% (da 11.600 post a 8.800). Di fatto la pandemia sembra aver decretato un blocco delle attività lavorative dei travel influencer, che hanno avuto più difficoltà a raccontare tramite post, stories e immagini le loro avventure e i loro clienti. Analizzando poi il numero di sponsorizzazioni, emerge come anche i post evidenziati con hashtag quali #ad #adv #sponsoredby #supplied siano stati ridimensionati: -33% sul volume dei contenuti pubblicati e -25% sulla media dei post promozionali per travel influencer.

I vantaggi del 5G per il consumo energetico

Anche la rete di connessione dati può migliorare l’impronta energetica. Uno dei vantaggi nell’adozione del 5G è infatti la consapevolezza di dover impattare meno sul pianeta. Come? Attraverso l’implementazione di meccanismi di efficienza calibrati, tanto che la maggior parte delle antenne sul territorio italiano è stata installata su torri già presenti, senza necessità di innalzarne altre.

Una presa di coscienza che si fonda sulla necessità di considerare come progresso tecnologico non solo uno scenario che permetta di utilizzare meglio e più velocemente internet, ma che si integri sempre più con l’ambiente circostante. Si tratta quindi di un’integrazione che va di pari passo con i livelli di consumo energetico, spesso citati quando si parla di 5G.

Le nuove antenne MIMO

Di fatto, secondo uno studio della NGMN Alliance, ogni passaggio da una generazione di rete mobile a un’altra comporta un guadagno di almeno dieci volte in termini di efficienza energetica. Un passo avanti compiuto dal 5G riguarda l’implementazione di antenne chiamate Massive Multiple-Input Multiple-Output (Massive MIMO), che contrariamente a quelle usate nel 4G, trasmettono il segnale solo nella direzione dello smartphone comunicante.

In questo modo, aumenta in modo significativo la capacità di dati erogata da un’antenna. E utilizzando contemporaneamente più bande, ciascuna è in grado di riutilizzare le frequenze della cella. Inoltre, le antenne MIMO concentrano gli amplificatori di potenza combinando elementi radianti, elettronica analogica e una parte digitale dedicata alle funzioni di gestione del raggio.

Fasce orarie per il traffico di comunicazione

Lo standard permette poi di creare fasce orarie dove il traffico di comunicazione è minimo, al fine di attivare una sorta di modalità di sospensione per una maggiore efficienza energetica. Un primo livello, già attivo per il 4G, prevede lo spegnimento dell’amplificatore di potenza, per una riduzione del 20% del consumo di energia. Ma il 5G sarà in grado di salire al livello 3, con un risparmio energetico di circa il 50%. Conoscere lo stato di tutte le apparecchiature aiuta inoltre a pianificare e gestire le proprie reti in modo molto più efficace. Grazie all’AI il 5G è il primo capace di autodeterminare il proprio funzionamento: una gestione più intelligente consente di ottenere informazioni continue su disponibilità, capacità, prestazioni e stabilità della rete, oltre che consumo di energia.

Il consumo da parte dell’industria Tlc deve diminuire

Ciò è reso possibile da routine avanzate, che sfruttano l’apprendimento automatico, l’automazione e l’analisi predittiva, estrapolando dati di valore dalle operazioni delle antenne, dall’occupazione della banda e dal flusso di connessioni in ingresso. La realtà è che il consumo complessivo di energia da parte dell’industria delle telecomunicazioni deve diminuire. Secondo le statistiche della GSMA il settore è responsabile del consumo tra il 2% e il 3% dell’energia prodotta a livello globale, riporta Ansa. Le telco sono perciò chiamate in causa in maniera diretta, e l’evoluzione al 5G è un’opportunità per assumere un’impronta più sostenibile.

Temporary Cfo, boom di richieste per la ripartenza delle aziende

Tra la fine del lockdown e l’inizio della Fase 2 il temporary management si è trasformato in uno strumento per ridisegnare, o accelerare, il business. In particolare, nei settori aziendali di Finance e Tax & Legal, di Supply Chain e Business Process Rengineering, Strategia commerciale e Marketing, Digitalizzazione e Hr. L’emergenza Covid19 ha posto infatti le imprese di fronte alla necessità di trovare nuove strategie e soluzioni per pianificare la ripresa e tornare rapidamente alla normalità. E Randstad Professionals, la divisione specializzata in ricerca e selezione di middle, senior e top management di Randstad, dall’1 marzo al 30 maggio ha riscontrato l’80% in più di richieste relative ai profili di temporary manager e di fractional manager rispetto al trimestre precedente.

Richiesti i profili coinvolti in progetti di change management

Da un’indagine di Randstad Professionals, che ha coinvolto 260 professionisti per analizzare i profili, i settori e le tipologie aziendali maggiormente interessate dal fenomeno, emergono in particolare le richieste di Temporary Cfo. Si tratta di profili coinvolti in progetti di change management, tipicamente legati all’ingresso di fondi di investimento nel capitale sociale dell’azienda, di operazioni di Due Diligence o Ipo, di fusioni e acquisizioni, di progetti di Business Process Rengineering o piani di ricambio generazionale del management, riporta Adnkronos.

Una strategia vincente per accelerare il business

“L’emergenza Covid19 ha richiesto alla maggioranza delle imprese di riorganizzare strategia e processi per garantire competitività o per guadagnare posizioni rispetto alla concorrenza nei casi di piena attività – spiega Maria Pia Sgualdino, Head of Randstad Professionals – o le ha costrette a ridisegnare il core business quando non è stato possibile ripartire nel breve-medio termine. In questo contesto – continua Sgualdino – inserire un temporary manager offre una strategia vincente per accelerare il business, rivedere i processi, aggredire nuovi mercati o semplicemente implementare strumenti necessari alla sopravvivenza o al rilancio dell’azienda”.

Più in dettaglio, oltre il 50% dei Temporary Cfo intervistati ha maturato la sua ultima esperienza professionale in aziende con meno di cento dipendenti e il 25% in grandi imprese con oltre mille dipendenti.

I settori di appartenenza sono soprattutto quelli dei servizi e dell’industria

I settori di appartenenza dei Temporary Cfo sono soprattutto quelli dei servizi (27,7%) e dell’industria (26,2%), seguiti da automotive (8,2%), food & beverage (7,4%), fashion e retail (7%). Il background accademico del Temporary Cfo rivela una netta prevalenza di professionisti con una laurea in economia e commercio/finanza (80%), mentre il 7,5% si è laureato in altre facoltà e il 10,2% dei candidati si presenta sul mercato con un diploma di scuola media superiore. La grande maggioranza del campione ha un’esperienza di oltre 20 anni nel ruolo di Cfo. Per quanto riguarda la permanenza nel ruolo, il 30% vanta missioni di durata inferiore ai dodici mesi. Si rileva inoltre oltre il 20% di professionisti attualmente inoccupati.